“Un cambio di rotta”. Non domanda nient’altro Francesco nel suo discorso all’United Nations Offices of Nairobi (UNON), il quartier generale dell’ONU in Africa, istituito dall’Assemblea Generale nel 1996. Un cambio di rotta affinché economia e politica possano mettersi al servizio della persona e della dignità umana. Un cambio di rotta che porti quindi all’eliminazione delle malattie cosiddette “orfane” di malaria e tubercolosi. Un cambio di rotta perché i settori trascurati della medicina tropicale ricevano “un’attenzione politica prioritaria, al di sopra di qualsiasi altro interesse commerciale o politico”. Un cambio di rotta affinché si possa “garantire un minimo di cura e di accesso alle cure essenziali per tutti”. Un cambio di rotta anche a livello culturale, realizzabile con un “un impegno sostanziale nell’istruzione e nella formazione” e a partire “da un processo educativo che promuova nuovi stili di vita”. Un cambio di rotta che richiede quindi “una formazione destinata a far crescere nei bambini e nelle bambine, nelle donne e negli uomini, nei giovani e negli adulti, l’assunzione di una cultura della cura: cura di sé, cura degli altri, cura dell’ambiente, al posto della cultura del degrado e dello scarto: scarto di sé, dell’altro, dell’ambiente”.
Cura dell’ambiente
Proprio l’ambiente è il tema cardine del lungo e corposo discorso del Pontefice, che trae spunto dalla Laudato Si’facendo riecheggiare anche passaggi della Populorum Progressio di Paolo VI. Prima di parlare, Francesco pianta simbolicamente un albero nel parco del Centro delle Nazioni Unite. A funzionari e dirigenti poi spiega: “Ho voluto accettare questa gesto simbolico e semplice, pieno di significato in molte culture”. Piantare un albero è, in primo luogo, “un invito a continuare a lottare contro fenomeni come la deforestazione e la desertificazione”, ma anche ricorda “l’importanza di tutelare e gestire in modo responsabile” i “polmoni del pianeta” e fa apprezzare e incoraggiare l’impegno di organismi internazionali e società civile “affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o internazionali”. Piantare un albero – aggiunge il Pontefice – anche “ci provoca a continuare ad avere fiducia, a sperare e soprattutto a impegnarci concretamente per trasformare tutte le situazioni di ingiustizia e di degrado che oggi soffriamo”.
Guardando alla Cop21
Un impegno che il Papa auspica possa realizzarsi nella imminente Cop21, la riunione internazionale sui cambiamenti climatici di Parigi. “Sarebbe triste e, oserei dire, perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune e arrivassero a manipolare le informazioni per proteggere i loro progetti”, osserva. Sarebbe, invece, una dimostrazione “generosa e dignitosa” del “meglio dell’essere umano” ogni iniziativa – “piccola o grande, individuale o collettiva” – tesa a prendersi cura del creato. Perché “il clima è un bene comune, di tutti e per tutti”, afferma il Pontefice, e i cambiamenti climatici “sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”.
L’accordo di Parigi può, dunque, dare un segnale chiaro in questa direzione. Il Santo Padre esprime pertanto l’auspicio che “la Cop21 porti a concludere un accordo globale e ‘trasformatore’, basato sui principi di solidarietà, giustizia, equità e partecipazione”, e che orienti al raggiungimento di “tre obiettivi, complessi e al tempo stesso interdipendenti: la riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici, la lotta contro la povertà e il rispetto della dignità umana”.
In tal senso, soggiunge, “è necessario un dialogo sincero e aperto, con la collaborazione responsabile di tutti: autorità politiche, comunità scientifica, imprese e società civile”. Economia e politica devono infatti porsi necessariamente “al servizio dei popoli” dove “l’essere umano, in armonia con la natura, struttura l’intero sistema di produzione e distribuzione affinché le capacità e le esigenze di ciascuno trovino espressione adeguata nella dimensione sociale”. “Non è un’utopia o una fantasia”, afferma Bergoglio, “al contrario è una prospettiva realistica che pone la persona e la sua dignità come punto di partenza e verso cui tutto deve tendere”.
Nuove forme di schiavitù
Una “cultura della cura”, dunque, e non quella del “degrado” e dello “scarto” che finora “ha portato a sacrificare agli idoli del profitto e del consumo” migliaia di persone. “Dobbiamo stare attenti a un triste segno della globalizzazione dell’indifferenza, che ci fa lentamente ‘abituare’ alla sofferenza dell’altro, quasi fosse normale”, avverte il Pontefice. Ancor peggio è rassegnarsi “alle forme estreme e scandalose di ‘scarto’ e di esclusione sociale, come sono le nuove forme di schiavitù, il traffico delle persone, il lavoro forzato, la prostituzione, il traffico di organi”. Per non parlare del “tragico” aumento dei migranti che “fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale”, i quali “non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa”. “Non possiamo rimanere indifferenti davanti a questo. Non ne abbiamo il diritto”, dice il Pontefice.
Narcotraffico, urbanizzazione, degrado, anonimato sociale
Rileva poi il “rapido processo di urbanizzazione” che “porta spesso a una smisurata e disordinata crescita di molte città”, divenute “invivibili”, “inefficienti”, focolai di violenza e narcotraffico, caratterizzate da “sradicamento” e “anonimato sociale”, dove sorgono “nuove forme di aggressività sociale” e cresce il consumo di droghe, specie fra i più giovani. Il Papa incoraggia perciò quanti, a livello locale e internazionale, “lavorano per assicurare che il processo di urbanizzazione si converta in uno strumento efficace per lo sviluppo e l’integrazione, al fine di assicurare a tutti, specialmente a coloro che vivono in quartieri marginali, condizioni di vita dignitose, garantendo i diritti fondamentali alla terra, alla casa e al lavoro”.
Equo commercio e sviluppo interdipendente, tenendo conto dei poveri
Restringendo poi lo sguardo all’Africa, Francesco ricorda la 10ª Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che si terrà tra pochi giorni a Nairobi. “Sembra che non sia stato ancora raggiunto un sistema commerciale internazionale equo e completamente al servizio della lotta contro la povertà e l’esclusione”, osserva, auspicando che “le decisioni della prossima Conferenza di Nairobi non siano un mero equilibrio di interessi contrapposti, ma un vero servizio alla cura della casa comune e allo sviluppo integrale delle persone, soprattutto dei più abbandonati”.
Un più facile accesso ai farmaci
In particolare, il Vescovo di Roma si associa “alle preoccupazioni di molte realtà impegnate nella cooperazione allo sviluppo e nell’assistenza sanitaria – tra cui le congregazioni religiose che assistono i più poveri e gli esclusi -, circa gli accordi sulla proprietà intellettuale e l’accesso ai farmaci e all’assistenza sanitaria di base”. Sottolinea pertanto che “i Trattati regionali di libero scambio in materia di protezione della proprietà intellettuale, in particolare nel settore farmaceutico e delle biotecnologie, non solo non devono limitare i poteri già conferiti agli Stati da accordi multilaterali, ma, al contrario, dovrebbero essere uno strumento per garantire un minimo di cura e di accesso alle cure essenziali per tutti”. Pertanto “l’interdipendenza e l’integrazione delle economie non devono comportare il minimo danno ai sistemi sanitari e di protezione sociale esistenti; al contrario, devono favorire la loro creazione e il funzionamento”.
Natura deturpata da egoismi umani
In ultima istanza, il Papa parla della “bellezza e ricchezza” della natura africana “che ci porta a lodare il Creatore”. Questo patrimonio di tutta l’umanità subisce “un costante rischio di distruzione causato da egoismi umani di ogni tipo e dall’abuso di situazioni di povertà e di esclusione”, osserva con rammarico Bergoglio. “Non si può omettere di parlare dei traffici illeciti che crescono in un contesto di povertà e che, a loro volta, alimentano la povertà e l’esclusione – soggiunge -. Il commercio illegale di diamanti e pietre preziose, di metalli rari o di alto valore strategico, di legname e materiale biologico, e di prodotti di origine animale, come il caso del traffico di avorio e il conseguente sterminio di elefanti, alimenta l’instabilità politica, la criminalità organizzata e il terrorismo”.
Una situazione, questa – conclude – che “è un grido degli uomini e della terra che dev’essere ascoltato da parte della comunità internazionale”.