È iniziato un nuovo anno liturgico, ricco d’iniziative, tra pochi giorni, vivremo la bellezza del Giubileo Straordinario della Misericordia. Le quattro settimane, che precedono il Natale, la comunità parrocchiale, si trova a vivere questo tempo di attesa, la venuta di Gesù in mezzo a noi. Come segno di preparazione al Natale, abbiamo usato una panchina, solitamente è collocata lungo le nostre vie urbane, nelle piazze e nei parchi, è un luogo di aggregazione, dove ci possiamo fermare per attendere qualcuno, nello sport, in particolare nel calcio è considerato il luogo più antipatico, vorresti giocare la partita ma ancora non sei all’altezza dei migliori, non è tempo perso, magari entrando in campo negli ultimi minuti puoi salvare la finale dei mondiali, come è avvenuto nel 2014 al tedesco Mario Goetze.
La panchina diventa anche il luogo degli affetti, ci ricorda un momento nostro, un momento particolarmente felice come la confidenza di un amico o il primo bacio, è la panchina degli affetti che non scorderemo mai, la panchina come luogo di accoglienza, potremmo continuare in modo poetico nel parlare della panchina ma spesso nelle grandi città come Roma, Milano, Parigi queste, si trasformano, in abitazioni nelle quali dimorano i clochard, sono i luoghi prediletti da Gesù.
Ho un ricordo nitido nella mente, ero andato in vacanza a Parigi, lo scorso anno, con un gruppo di preti; mi ritrovai da solo sotto l’arco della porta di Saint Denis, mi imbattei in una scena forte, nei suoi contenuti, c’era un clochard che era seduto su una panchina, la stava preparando per la notte, tra il caos e la confusione della metropoli parigina, si è alzato rapidamente prendendo le sue cose e ha iniziato a camminare con la sua casa, un enorme valigia sulla mano destra e nell’altra una radiolina, era molto magro, pelle e ossa, sfinito, trascinava la sua casa; inciampa, battendo la testa sul ciglio del marciapiede, è disteso a terra, in un lago di sangue, c’erano molti passanti, ma sono rimasti indifferenti alla scena che si era svolta dinanzi ai miei occhi, sono corso incontro a quest’uomo e l’ho raccolto, cercando di dargli un primo soccorso, mi colpì vedere quell’uomo, i suoi occhi mi guardavano fissi negli occhi, leggevo in lui un forte senso di smarrimento, paura, ma c’era qualcosa di strano in lui, una luce di gioia, qualcuno si è preso cura di me, era gioioso, contento, venne poco dopo un ambulanza e lo portarono via…
Fatti del genere non avvengono solo a Parigi, Roma o Milano ma anche nelle nostre terre, incontriamo tristi realtà, d’emarginazione, di indifferenza collettiva, tra cui anche i media fanno la loro parte, nel diffondere moniti terroristici, eppure dinanzi a tanta violenza l’uomo, oggi più che mai ha bisogno di una Buona Notizia.
Poche settimane fa mi trovavo in caritas, per dialogare con Don Gianni su alcune questioni. Mi ero incontrato, lì con molti “amici” della Parrocchia, che quotidianamente vengono a suonarmi il campanello, per frivoli aiuti… ed ecco, mi giunge una chiamata urgente, non al cellulare, ma una chiamata da parte di Dio, che echeggiava nel mio cuore: “Ero Straniero… e mi avete accolto”. Nel Frattempo, Don Gianni, con il suo modo energico e preoccupato mi dice:”… e poi… c’è un padre e un figlio marocchini, sono bravi, educati e rispettosi, da tempo vivono in auto e sono preoccupato per loro perché non so dove farli dormire, sto cercando di dargli una dignità… il figlio di quest’uomo fa la seconda media, la scuola è iniziata, ma lui non ha la possibilità di iniziare la scuola, poiché è in strada. Non so dove farli andare… conosci qualcuno che può accoglierli? Non è che hai un po’ di spazio in canonica?“, ho atteso qualche istante in silenzio per ascoltare di nuovo quella voce evangelica, e alla fine ho risposto: “ok! non c’è problema dammi del tempo per organizzarmi e al 90% salvo imprevisti ti dico si…” e da quel Si che è iniziata l’avventura di aver accolto in Casa, Muhammad e M’hamed.
All’indomani degli attentati di Parigi, mi sono giunte tante sollecitazioni del tipo: Ma non hai paura a dormire in casa con uno sconosciuto? Ma è un Magrebino? Per caso non è un terrorista? Inizialmente, sono rimasto colpito dalla reazione di molte persone, quasi coinvolto, in questa psicosi collettiva ma alla fine ripensavo a tutti gli ospiti che mi hanno strappato un sorriso, come David che lo soprannominai “il finto Ebreo”, aveva l’aspetto di un ebreo della diaspora dei paesi dell’est, magrissimo, alto, un naso aquilino molto pronunciato, si presentò in parrocchia con una mountain-bike, chiedendomi di poter dormire con la tenda nel cortile della canonica, mi disse che stava concludendo un pellegrinaggio di purificazione, sarebbe ritornato a casa nella sua città nativa di Gerusalemme, indossava uno zaino enorme sulle spalle, aveva tutti i segni di un giovane, ebreo osservante moderno, che oggi possiamo incontrare lungo le strade della Terra Santa, tra cui la Kippa, il Tallit Qatan, sembrava un perfetto ebreo, fui contento di accoglierlo, con grande gioia, pensando di poter condividere con lui la grande ricchezza della Tradizione biblica, ma, dopo pochi giorni scoprii, che, Gerusalemme, “la sua città natale”, la conoscevo più io che lui…
Accolsi Mario, che mi fu presentato da un mio confratello, come un missionario del Movimento Sacerdotale Mariano, fu un accoglienza lampo, parlava troppo, era strano, avevo forti sospetti su di lui e in particolare la nascita di nuovo ordine religioso. Presi immediatamente delle informazioni sul suo conto, scoprii che era un pluripregiudicato, potete immaginare voi come sia andata a finire.
Ed ecco che mi risuonava fortemente nell’anima il grido evangelico “ero straniero e mi avete accolto!“. Quindi di cosa dovrei aver paura? Di accogliere un povero Cristo? Il mio cuore mi invita sempre a fare del bene… e poi se dietro c’è un imbroglio, c’è un terrorista, non importa ci pensa Dio a ricompensarmi, anche perché non sai mai chi hai di fronte, ti troverai sempre quel piccolo del Vangelo che necessariamente deve essere accolto.
Il Crollo netto dei miei timori. Una notte mi sento bussare in camera, era Mohammed che stava molto male, si piegava in due dal dolore, quasi che svenisse, chiamo l’ambulanza ma non viene, ho aspettato ma in vano, e siamo corsi in ospedale, in auto durante il tragitto, con grande tenerezza e istinto paterno, Muhammad, mi supplica di stare dietro a suo figlio M’hamed, di portarlo a scuola, mi si raccomanda di dargli da mangiare, da lì ho capito che non avevo a che fare con chi pensa l’opinione pubblica, un terrorista, un nemico da cacciare, ma con un uomo, che ha una storia, un vissuto, ha un cuore e un’anima. Riprendendo la parabola evangelica, Dio mi sta facendo toccare con mano chi è il mio prossimo, sto vivendo in parrocchia con quell’uomo incappato con i briganti, che il samaritano aveva curato. Ora Muhammad sta facendo dei lavoretti saltuari e M’hamed, ha ripreso la scuola, il pomeriggio frequenta il doposcuola parrocchiale, da poco grazie alla società del Grottammare Calcio, ha iniziato a giocare. Grazie di cuore a tutti coloro che si adoperano tra cui la Caritas insieme alla comunità parrocchiale della Gran Madre di Dio si sta adoperando per donare loro una dignità.
Paola
Innanzitutto grazie per la testimonianza! Sono anni che ho scoperto cos'è l'accoglienza, dona molto più di quanto puoi dare. Credo che sia da sperimentare per l'arricchimento morale di cui si fa dono. Il terrorismo c'è, come c'è la mafia, come c'è la ndrangheta, ma questo non deve essere un alibi per rimanere indifferenti di fronte a chi ha bisogno. E poi potrei essere io al loro posto e quanto mi riscalderebbe il cuore se qualcuno condividesse con me i momenti difficili.