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Straordinario questo Giubileo della Misericordia, perché…

Di Fabio Zavattaro

Straordinario questo Giubileo della misericordia, e non solo perché si celebra in un tempo non canonico dei venticinque anni. Straordinario perché è il primo di un Papa latinoamericano; il primo di Francesco. Straordinario perché è la prima volta che si apre la Porta Santa di San Pietro a Giubileo iniziato, otto giorni prima, nella Repubblica Centroafricana. Straordinario soprattutto perché sono due i Papi, uno emerito e l’altro regnante, presenti nell’atrio della basilica vaticana: non era mai accaduto nella storia della Chiesa.
Anno Santo che fa memoria della conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II, e che si celebra sul sagrato della basilica, come avvenne per la cerimonia conclusiva dell’assise conciliare, cinquanta anni fa, con la consegna dei messaggi al mondo, ai giovani, agli uomini di cultura, alle donne, ai governanti. È un’altra porta che i padri conciliari hanno voluto aprire, anzi “spalancare verso il mondo”, dice Francesco. Un verbo, spalancare, che torna nelle parole di Papa Wojtyla nell’omelia d’inizio Pontificato, quando chiese di non aver paura di aprire, anzi spalancare le porte a Cristo.
E torna Papa Bergoglio con questo verbo, per ricordare che il Concilio è stato un incontro, “un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo”. Incontro segnato “dalla forza dello Spirito Santo che spingeva la chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in se stessa”.

Ed ecco il messaggio che viene da questo passaggio attraverso la Porta Santa: camminare sulle strade del mondo, senza avere paura, avendo come riferimento la misericordia del buon samaritano, come desiderava Papa Paolo VI. Una porta che è dono di pace: la consegnarono a Papa Pio XII i cattolici svizzeri come voto di ringraziamento per non aver subito le violenze del conflitto mondiale. Donata dopo la seconda guerra mondiale, si apre in un tempo che Francesco dice segnato dalla terza guerra mondiale, a capitoli.

Rimane l’immagine di quella semplice porta di legno a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, anticipo di Anno Santo da una delle periferie del mondo, luogo di emarginazione, povertà, violenza.

Quell’aprire la porta africana è messaggio non solo per il continente, ma per tutto il mondo, invito a compiere quel passaggio da un prima a un dopo, più attento agli ultimi, ai dimenticati, ma non da Dio.
Straordinario questo Giubileo, per un’altra immagine simbolo, i due Papi assieme nell’atrio della basilica. Ma forse l’immagine più forte, quei passi lenti compiuto dall’anziano Ratzinger, con la tenacia di un Papa che ha guidato la chiesa in un tempo non facile. La stretta di mano con Francesco, l’abbraccio tra i due; quel guardarsi negli occhi, quel parlare sottovoce, che i microfoni non hanno potuto cogliere: sono tutti momenti che resteranno nella memoria di questo appuntamento giubilare. Quasi continuazione delle parole che Francesco ha pronunciato in aereo, tornando dall’Africa, quando ricordando le parole dell’allora cardinale prefetto Ratzinger alla Via Crucis del 2005, e parlando della sporcizia nella chiesa, Papa Bergoglio ha detto: “noi lo abbiamo eletto per questa sua libertà di dire le cose”. E Francesco è il Papa che nella semplicità rimette in primo piano proprio la misericordia, come Giovanni XXIII che aprendo il Concilio parlò di medicina della misericordia. Papa Bergoglio dice: “sarà un anno in cui crescere nella misericordia di Dio”.

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