Marine Le Pen stravince (una settimana fa). Marine Le Pen ha perso (oggi). Dopo il ballottaggio delle elezioni regionali in Francia, commentatori, politici e mass media smorzano i toni o addirittura tornano sui propri passi, non di rado contraddicendo se stessi. Così se alla luce dei risultati del primo turno il Front National era diventato il simbolo della vittoria dei nazionalisti, in grado di guidare la riscossa euroscettica in tutto il Vecchio continente, ora viene decretato come perdente, incapace di sfondare rispetto al “fronte repubblicano” che ha consegnato 7 regioni al centrodestra gollista di Nikolas Sarkozy, 5 ai socialisti e alleati di François Hollande, mentre la Corsica resta fieramente in mano ai regionalisti-indipendentisti.
La destra estrema, xenofoba, no-euro, no-Europa, rappresentata dalla dinastia Le Pen, resta all’asciutto. Discorso chiuso, dunque? Nient’affatto.
Il Fn conserva al ballottaggio i suoi 6 milioni di voti, e ne aggiunge alcune migliaia. Forza il tradizionale bipolarismo francese – gollisti versus socialisti – e si inserisce come terza forza stabile e diffusa in tutto il Paese e in tutte le classi sociali, pescando molti dei propri voti fra le giovani generazioni, distanti da una politica ritenuta incapace di fornire risposte alle legittime attese degli under30. L’accordo di desistenza tra destra moderata e socialisti (voluto più da questi ultimi che non dai gollisti, guidati da un opaco Sarkozy), l’affluenza alle urne in crescita, e un sistema elettorale ritagliato in chiave maggioritaria e con la garanzia dei ballottaggi, hanno consentito di mettere all’angolo il Front National; ma la leader Marine Le Pen può argomentare che “il regime è comunque in agonia”. Nel senso che – provando a interpretarne le parole – la politica, a lungo chiusa nei palazzi del potere, sembra aver perso il contatto con l’elettorato, che invece lancia, attraverso il consenso al Fn, i suoi messaggi di insoddisfazione, paure profonde, attese disattese, nuove speranze.
La Francia non può che ripartire da lì. E lo sanno bene sia “roi” Hollande che il suo ipotetico rivale alle presidenziali del 2017, Sarkozy.Ugualmente non possono sottovalutare il messaggio che arriva dalle urne francesi i vari Merkel, Renzi, Cameron, Rajoy (che il 20 dicembre si gioca il futuro con le elezioni parlamentari in Spagna) e gli altri leader europei, che si ritroveranno questa settimana a Bruxelles per il Consiglio europeo.Nell’agenda del vertice del 17-18 dicembre non a caso sono inscritti i tre grandi temi che da tempo stanno alimentando la marea europerplessa e a tratti razzista che sta attraversando l’Europa: ossia terrorismo e sicurezza, emergenza-profughi e controllo delle frontiere, crisi e nuova governance economica.
L’ennesimo campanello d’allarme suonato in Francia non può rimanere inascoltato. I politici europei devono fare la loro parte, costruendo risposte coerenti e condivise alle sfide in atto. Così come la società civile, l’opinione pubblica, i mass media, le agenzie educative sono chiamate a portare un contributo di valori e di progetti perché l’Europa possa evitare la temuta, più volte annunciata e ora sfiorata, deriva dei nuovi “muri” e delle barriere di cui Marine Le Pen è divenuta alfiere.