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Padre Mourad per oltre quattro mesi nelle mani dell’Isis

Di Daniele Rocchi

“Il mio Natale? Una rinascita. Una vera rinascita!”: gli occhi di padreJacques Mourad, priore del monastero di Mar Elian ad Al Qariatayn, brillano quando, senza esitazione, risponde alla domanda “Come sarà questo Natale?”. Una domanda non scontata per il religioso siriano, appartenente alla comunità fondata dal padre gesuita Paolo Dall’Oglio, Deir Mar Musa, rapito dall’Isis il 21 maggio e liberato il 10 ottobre scorso. Quattro mesi e 20 giorni drammatici di detenzione che oggi racconta con la gioia per la libertà ritrovata e con la grande preoccupazione per la sorte di tutti coloro che ancora sono in mano ai miliziani del Califfo al Baghdadi e che subiscono la violenza di una guerra insensata.

“Convertitevi o vi tagliamo la testa”. Il suo racconto riporta a quel 21 maggio scorso quando “degli uomini incappucciati sono entrati nel monastero di Mar Elian e mi hanno prelevato assieme ad un nostro volontario, Boutros. Ci hanno obbligati a salire in macchina e ci hanno lasciato in mezzo al deserto per quattro giorni, bendati e incatenati. Poi ci hanno portati a Raqqa: capitale dello Stato Islamico”. “A Raqqa ci tenevano rinchiusi in un piccolo bagno.Avevano scelto appositamente quella stanza per umiliarci, ma la nostra missione è quella di essere umili, anche di fronte alla violenza”. Per 84 giorni detenuti in un bagno alla mercé dei jihadisti che “ci insultavano spesso, ma il momento più difficile era quando ci intimavano: “O vi convertite all’Islam o vi tagliamo la testa. Ho vissuto ogni giorno come se fosse l’ultimo. Ma non ho mai abiurato”.Unico conforto di quei giorni la recita del Rosario e le parole della “Preghiera dell’abbandono” di Charles de Foucauld, ripetute quasi come un mantra: “Padre mio, io mi abbandono a te: fa’ di me ciò che ti piace! Qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me e in tutte le tue creature”. Come il religioso francese anche padre Mourad ha fatto del dialogo islamo-cristiano l’essenza della sua missione, sostenendo per oltre 15 anni tutte le famiglie di Qaryatayn, città della provincia di Homs nel centro della Siria, senza alcuna distinzione di fede. Un impegno che, per il priore, “ha avuto un contributo determinante nella mia liberazione. Sono sicuro che sia stata una delle ragioni che ha impedito ad Isis di uccidermi”.

“Il dialogo – ribadisce – è la vera strada per arrivare alla pace e alla soluzione del conflitto. Tutto il popolo siriano è vittima di questa guerra.

Gesù ha dato la vita per tutti e come Chiesa siamo responsabili verso tutti, non solo cristiani. Il cammino verso la pace comincia con il desiderarla”. Il racconto della prigionia non è finito, e padre Mourad continua nella storia della sua rinascita, del suo Natale. L’11 agosto gli uomini di al Baghdadi lo prelevano nuovamente e lo portano via in auto. “Pensavo fosse giunta la mia ora – ricorda – abbiamo viaggiato per oltre quattro ore, poi la macchina si è fermata nei pressi di Palmira”. Una volta sceso davanti a lui i 250 cristiani rapiti dallo Stato Islamico qualche giorno prima a Qaryatayn. Venti giorni più tardi, il primo settembre, “ci hanno riportato tutti a Qaryatayn, liberi, ma ci era assolutamente proibito uscire dalla città. Celebravamo la messa in locali sotterranei, sia per non farci vedere mentre pregavamo, sia per ripararci dai bombardamenti”. Poi il 10 ottobre, la fuga, rocambolesca, “su una moto, con l’aiuto di un amico musulmano. A Qaryatayn la vita era divenuta impossibile: senza cibo, né acqua, né elettricità. Poco a poco tutti i cristiani sono fuggiti dalla città. Ne restano undici ancora in mano ad Isis, mentre sono otto le vite dei cristiani spezzate dai jihadisti”.

Grazie alle preghiere. “Se sono qui, se il Signore ha potuto realizzare questo miracolo, è stato anche grazie alle preghiere di tante persone e della Chiesa universale” aggiunge padre Mourad che non nasconde la sua grande preoccupazione per la sorte dei cristiani d’Oriente. “La situazione si aggrava di giorno in giorno, al punto che mi è molto difficile intravedere soluzioni possibili.Tutti hanno il diritto di voler vivere in un luogo in cui regna la pace e in cui assicurare un futuro migliore ai propri figli” afferma il religioso mostrando ci comprendere le motivazioni dei tanti cristiani che abbandonano il Medio Oriente. Anche per questo lancia un appello – che è anche una preghiera – all’Unione europea, “affinché il suo ruolo in Siria non si limiti all’invio di aiuti umanitari. L’Europa deve assolutamente cercare una soluzione politica. Perché questa è l’unica via per garantire la salvezza della nostra gente e del nostro paese”. Ma c’è un’altra preghiera per questo Natale. Per un’altra rinascita: “preghiamo perché accada il miracolo della liberazione di padre Paolo Dall’Oglio”.

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