Un bicchiere mezzo pieno. C’è chi ha usato questa immagine per sintetizzare il bilancio di un anno rispetto alla situazione della scuola italiana, interessata da una riforma importante e destinata a incidere in profondità nel sistema.
L’occhio ottimista, che individua il bicchiere mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto, è probabilmente influenzato dal dibattito crescente sulla scuola e l’istruzione, sull’importanza che deriva dai richiami sui media e dalle numerose iniziative, ben pubblicizzate, del ministero. Una scuola, dunque, sotto i riflettori – come è bene che sia in un Paese cui sta a cuore il futuro – dove peraltro, bisogna riconoscere, qualcosa si muove davvero. A cominciare dal massiccio piano di stabilizzazione dei docenti che, visto in prospettiva, dovrebbe garantire un miglior servizio scolastico ben al di là dei disagi che pure ha portato con sé. Una scuola, tra l’altro, che può beneficiare di qualche risorsa in più rispetto al passato, perché questa volta i tanto lamentati investimenti ci sono: un miliardo nel 2015, annotavano gli esperti, per diventare addirittura 3 a regime. Non proprio spiccioli, anche se naturalmente il capitolo “bisogni” potrebbe essere più ampio.
E proprio sui soldi insiste l’ultima polemica di questo anno che si avvia a conclusione. In particolare sui soldi ai supplenti che non ricevono compensi da mesi. Il problema è stato sollevato nelle prime settimane di dicembre e riguarda circa 30mila docenti con arretrati di uno, due, anche quattro mesi. La denuncia dei sindacati è stata chiara: “Sebbene abbiano svolto il loro lavoro, i supplenti non percepiscono retribuzione per mancanza di risorse e inefficienza del sistema informatico del ministero dell’Istruzione”, affermava nei giorni scorsi il segretario della Flc Cgil, Domenico Pantaleo. Ed è noto che la questione dei pagamenti crea da anni più di un problema.
Problema cui il Governo ha cercato di porre riparo alla vigilia di Natale con l’annuncio di una soluzione immediata per 25mila persone (entro Natale) grazie a “un’emissione speciale, con esigibilità 24 dicembre, per una spesa di 16,6 milioni”. E l’assicurazione che entro gennaio saranno pagati “tutti gli altri”. Ha anche spiegato, il Miur, che la questione dei pagamenti arretrati non deriva dalla Buona scuola, ma al contrario la riforma porta soluzioni.
Certo non è una prassi accettabile quella che permette ad alcuni operatori della scuola di lavorare senza ricevere il compenso per parecchio tempo. Al di là dei casi raccontati dai media, con persone in gravi difficoltà a sostenere gli impegni quotidiani, si può immaginare come sia difficile mantenere la necessaria serenità per un docente cui manchi la certezza dello stipendio.
Serenità minata anche da un’altra polemica sul filo del tempo natalizio, col ritorno dello spauracchio dei presidi-sceriffi e dell’immancabile allarme sulla “deriva autoritaria” della scuola. Il riferimento è a un’uscita (sui “docenti contrastivi”) dell’Associazione nazionale presidi, che peraltro denuncia di essere stata male – e in mala fede – interpretata.
Troppo complesso entrare qui nel merito, ma viene da fare una riflessione. Se l’anno si chiude col bicchiere della scuola mezzo pieno, attenzione al rischio di… rovesciarlo. L’auspicio per l’anno che arriva è invece quello di consolidare i passi avanti già fatti, anche rappezzando eventualmente i buchi lasciati indietro (vedi la questione stipendi). Da una scuola davvero Buona il Paese ha solo da guadagnare.