Il Vescovo Carlo Bresciani durante l’omelia ha affermato: “La Chiesa, nel primo giorno dell’anno, ottava del Natale, venera la divina maternità di Maria: Colui, infatti, che lei ha generato al mondo è il Figlio unigenito di Dio e, quindi, ben a ragione la si può chiamare con il dolce appellativo di madre di Dio.
Iniziamo, perciò, l’anno nuovo sotto l’icona della maternità che, per quanto quella di Maria sia stata assolutamente speciale, non si distingue completamente da quella di ogni donna che deve accogliere, custodire, proteggere e nutrire con ogni cura il figlio che ha generato. Quel figlio, benché figlio di Dio, era in nulla diverso da qualsiasi altro bambino bisognoso di tutte le cure che una madre deve al figlio perché possa vivere, crescere e imparare a conoscere il mondo in cui è nato. E Maria, come tutte le madri del mondo, ha vissuto tutte le segrete trepidazioni e i pudichi sussulti di gioia che solo una madre conosce contemplando e cullando dolcemente il proprio figlio tra le braccia, mostrandolo con orgoglio ai pastori e alle figlie di Sion e deponendolo timidamente nelle braccia di Giuseppe, a sua volta stupito e ammirato per il miracolo della vita, materializzatosi nella sua amata sposa.
L’icona della maternità ci richiama al fatto che ogni vita ha bisogno di essere accolta e curata, tanto più quanto più è debole e incapace di provvedere a se stessa e, poiché nessuno di noi può da solo provvedere a se stesso, ognuno di noi ha bisogno degli altri. Ognuno di noi è stato generato da altri ed è sempre di nuovo oggetto di tante cure di altri, spesso addirittura sconosciuti, che si prendono cura di fornirci ciò di cui abbiamo bisogno.
Si potrebbe dire, con una immagine non troppo ardita, che la società nella quale viviamo, è (e dovrebbe essere) un po’ come la madre che si prende cura di noi, ci fornisce di tutti i servizi e i beni di cui abbiamo bisogno per proteggere e far crescere la nostra vita e introdurci nella maturità come membri responsabili non solo di sé, ma anche degli altri nella sfera pubblica e sociale.
Si colloca qui, cari amministratori delle comunità e delle istituzioni pubbliche e civili della nostra diocesi, il senso e la importanza, direi di più la grande dignità, del servizio che prestate con l’incarico che svolgete per il bene comune. Servizio che, nonostante alcune ombre di taluni amministratori purtroppo infedeli, deve essere considerato con la massima stima da parte di tutti, in quanto servizio indispensabile e di grande valore. Il compito di prendersi cura, di custodire e sviluppare il bene comune, che a voi è affidato, porta in sé alcuni tratti della maternità che ammiriamo in Maria. Spetta a voi, non senza la collaborazione attiva e responsabile di tutti i cittadini e cittadine, progettare e far crescere nella giustizia e nella solidarietà la società di oggi in prospettiva di un domani migliore da lasciare in eredità a chi ci seguirà.
Il primo bene che a voi è affidato non è quello economico, per quanto importante esso sia, ma la solidarietà tra i cittadini, prezioso bene comune, che non esiste mai senza il superamento dell’indifferenza reciproca e del disinteresse per la cosa pubblica. Come una madre, che deve educare i figli al senso della famiglia e alla solidarietà tra tutti i membri, nella felice o nell’avversa sorte, così a ciascuno di voi è affidato il compito di lavorare per la solidarietà sociale, cosa certamente non semplice in una società nella quale vengono esaltati gli interessi egoistici di parte e la difesa dei più fortunati a scapito dei più deboli.
Per questo il papa nel suo messaggio (che alla fine della Messa vi consegnerò) per la 49a giornata della pace, istituita dal beato Paolo VI che si celebra ogni primo giorno dell’anno, esorta a vincere l’indifferenza per costruire la pace. Voi certamente siete chiamati in modo particolare a far superare ogni indifferenza verso i più deboli delle comunità a voi affidate, ad aiutarle a guardare oltre i confini geografici ed esistenziali in cui sono racchiuse, per aprirsi ai bisogni di altri meno fortunati.
Il Giubileo della Misericordia che voi oggi celebrate solennemente, dopo essere passati dalla porta santa della nostra cattedrale come figli che entrano nella casa del Padre, è anche per voi invito a crescere nella misericordia ad imitazione di Dio, nostro Padre comune. Il vostro modo di essere misericordiosi sta in primo luogo nel farsi carico con giustizia e imparzialità dell’ufficio che rivestite. Siete stati eletti democraticamente dentro una aggregazione partitica per farvi carico non di una parte soltanto della comunità che governate o per difendere interessi di singoli o di specifici gruppi di potere, ma per esercitare la giustizia come Dio, che è giusto perché si prende cura dell’orfano, della vedova e dello straniero (di coloro che sono nel bisogno), come dice la sacra Scrittura, la quale ricordava sempre al pio Israelita di non dimenticare mai che anche lui era stato straniero in Egitto.
L’icona della maternità, che campeggia liturgicamente in questa giornata di inizio anno, è però richiamo a tutti noi affinché tutti abbiamo a superare l’indifferenza, quando non addirittura il rifiuto nei confronti della vita. La cura della vita non può essere solo di alcuni nella società e non può essere fatto da lasciare alle sole forze della famiglia, sempre insufficienti. Mentre gli amministratori della cosa pubblica, con il loro Giubileo, riconoscono le loro insufficienze e mancanze, e ne chiedono perdono, onde ripartire con nuove energie di misericordia che vengono da Dio, anche tutti noi dobbiamo riconoscere le nostre insufficienze a causa della nostra indifferenza, della nostra inerzia e del nostro disimpegno che ha reso tutto più difficile nelle comunità che abitiamo e ciò ha gravato negativamente anche su chi ci amministra. Tutti, a diversi livelli ovviamente, siamo responsabili del bene pubblico che abitiamo: della pace, della fratellanza, della solidarietà, dell’ambiente… Tutti siamo chiamati a proteggere questi beni, a collaborare per il loro sviluppo e a saperli condividere, superando indifferenze, disinteressi e vere e proprie mancanze.
C’è un’ultima indifferenza che siamo chiamati a superare, la più importante e la più dimenticata forse: quella verso Dio. Siamo qui per chiedere a Lui misericordia per questa indifferenza e dimenticanza: abbiamo sempre altro da fare e di cui preoccuparci e abbiamo sempre meno tempo per Dio. Abbiamo i nostri affari e i nostri commerci da curare, per cui neppure la domenica abbiamo tempo per Lui (e ne abbiamo sempre meno anche per le nostre famiglie). Ma non dobbiamo dimenticare che “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore” (Ps 126, 1-2).
Maria, madre di Dio, sotto la tua protezione iniziamo questo nuovo anno che Dio ci dona, tu che con tanto amore ti prendi cura del figlio che Dio ti ha affidato, aiutaci ad accogliere la misericordia di Dio, che è Gesù, e a donarla copiosamente a chi è nel bisogno materiale o spirituale, come hai fatto tu.
Suggeriscici i modi più adeguati di prenderci cura delle persone e delle cose che ci sono state affidate. Insegnaci ad amarle con quell’amore che tu hai saputo donare a tuo figlio e alla prima comunità degli apostoli senza misura e senza lesinare sacrifici e, quando siamo stanchi, confortaci con quelle parole che tu sapevi trovare per confortare Giuseppe e Gesù quando tornavano a casa stanchi e sudati dopo le lunghe giornate di lavoro.
Te ne preghiamo, o Maria madre di Dio e madre nostra, esaudisci questa nostra supplica. Amen.