“L’istruzione non serve a fuggire dalla povertà, è un modo per combatterla”, diceva Julius Nyerere, padre fondatore della Tanzania. Il primo capo di Stato del Paese dell’Africa orientale aveva molte ragioni per sottolineare l’importanza del sistema educativo. Egli stesso, tra l’altro, era stato un insegnante prima di dedicarsi alla politica, come il suo attuale successore, John Pombe Magufuli, che ha fatto della scuola gratuita una delle sue principali promesse elettorali.
Tasse pesanti. Il tema è tra quelli che mobilitano i tanzaniani. Il Paese infatti ha un tasso di alfabetizzazione relativamente alto (il 76,5% degli uomini e il 72,8% delle donne sanno leggere e scrivere) e anche la percentuale di frequenza nelle scuole primarie è intorno all’80%. Una cifra che però scende drasticamente quando si parla di istruzione superiore:
solo il 26,2% dei ragazzi e il 24,4% delle ragazze, infatti, riesce ad accedere ai corsi secondari.
Nel creare questa situazione, le questioni economiche hanno un peso importante, in particolare quando si parla di tasse d’iscrizione. Se dal 2002, infatti, frequentare le scuole elementari è gratuito, le tasse d’iscrizione sono rimaste in vigore per le superiori. La cifra inizialmente stabilita, equivalente a 19 dollari l’anno, può sembrare irrisoria, ma lo è meno alla luce di un prodotto interno lordo per abitante che non superava, lo scorso anno, i 920 dollari. Nel frattempo, in più, le tasse sono cresciute, in alcuni casi, fino a cinque volte e non è raro che le scuole, sia private che statali, chiedano alle famiglie contributi (di fatto obbligatori) per un altro centinaio di dollari l’anno.È per questo che l’amministrazione Magufuli, appena insediata, ha stabilito che, dal primo gennaio, anche le scuole secondarie statali tornano gratuite.A queste è stato imposto inoltre di non esigere più i contributi straordinari, mentre gli istituti privati dovranno sottoporre le loro proposte sulle tasse d’iscrizione a una commissione governativa, che avrà il potere di respingerle se le considererà troppo alte.
Investimenti necessari. La protesta ha fatto nascere nel Paese un dibattito, seguito con attenzione dalla stampa. Quella per l’istruzione gratuita, in effetti, non è una preoccupazione esclusiva del governo. Lo stesso nunzio apostolico Francisco Padilla, già nel 2013, durante la visita ad una scuola cattolica, aveva chiesto ai proprietari delle istituzioni educative di “non negare l’istruzione agli studenti che arrivano da famiglie povere”. Proprio i gestori delle scuole, però, sono i più preoccupati dalla nuova normativa e con loro si è schierato un commentatore autorevole, Richard Mshomba, tanzaniano, ma professore di Economia all’Università La Salle di Philadelphia, negli Stati Uniti. “Il governo dovrebbe controllare la qualità dell’educazione e l’ambiente in cui avviene l’apprendimento – ha scritto in un editoriale pubblicato dalla testata The Citizen – non dovrebbe fissare le tariffe o i loro aumenti”.La scuola, dunque, è diventata il primo banco di prova per Magufuli, che dal momento dell’elezione, il 25 ottobre, ha suscitato speranze nel paese e in Africa per le prime misure annunciate, nel segno della lotta alla corruzione e di un’austerity ‘buona’ per risanare i bilanci.Il neopresidente, infatti, ha annunciato tagli alle missioni all’estero dei rappresentanti politici, ai loro privilegi, alle cerimonie solenni per l’insediamento e anche per la celebrazione della festa nazionale. Questa è stata sostituita da una giornata di attività per ripulire i centri urbani dall’immondizia, a cui hanno partecipato in prima persona, tra gli altri, lo stesso capo dello Stato e il suo predecessore Jakaya Kikwete. I fondi risparmiati, ha annunciato il governo, saranno destinati allo stato sociale: in particolare al settore sanitario e alla pubblica istruzione. In quest’ultimo la necessità d’investimenti, anche al di là della questione delle tasse, è forte: secondo il ministero dell’Istruzione, solo nel settore delle materie scientifiche, mancano 27mila insegnanti in tutto il Paese. Alla carenza, finora, si è posto riparo “importando” personale dall’estero, ma anche qui i numeri sono in calo: il prossimo anno scolastico, per questioni burocratiche, 3.400 docenti non potranno prendere servizio e torneranno nei loro paesi. Un altro segno che la battaglia per un’educazione di qualità in Tanzania è appena cominciata.