È senza dubbio la serie televisiva del momento. A sedici anni dalla prima messa in onda, è tornato su Rai Uno il prete più amato d’Italia: Don Matteo 10. La puntata che ha aperto la nuova stagione è stata vista da 9 milioni e 677mila spettatori, pari a oltre il 33 per cento di share. Dopo tanti anni, però, non c’è il rischio di essere ripetitivi? “Quando si superano i 200 episodi, il pericolo esiste. Ma il meccanismo seriale ci consente di andare avanti e di affrontare temi che altre fiction non trattano. La realtà, d’altra parte, è sempre più ricca della fantasia”, spiega Mario Ruggeri, sceneggiatore e capo scrittura della serie prodotta dalla Lux Vide.
Dunque, ancora si appassiona con “Don Matteo”?
Assolutamente sì, come è sempre stato. Ci piace parlare di cose che altrove non trovano spazio. In questa stagione, ad esempio, ci si confronta con questioni importanti come la ludopatia o l’utero in affitto. Abbiamo il vantaggio di scrivere durante un intero anno. E in questo lasso di tempo, l’attualità ci offre la materia principale da cui trarre spunti.
Don Matteo è un mondo in cui tutto può succedere ma, anche, una lente di ingrandimento attraverso la quale guardare la società.
A parte il protagonista, qual è il personaggio al quale è più legato?
Natalina che, insieme al maresciallo Cecchini, rappresenta il cuore emotivo della serie. Le persone amano Terence Hill, che è l’eroe, ma si identificano in Nino Frassica e Nathalie Guetta.
Durante la prima puntata, quando il sagrestano Pippo vede Belén Rodríguez sospira: “È bella come la Madonna di Loreto”!
Non so se era scritta o se l’ha inventata al momento Francesco Scali! Però è nell’atmosfera di Don Matteo. È l’uomo della strada che si trova davanti a Belén.
Cosa rappresenta per lei “Don Matteo”?
Da un punto di vista professionale rappresenta tutto, perché mi ha dato la possibilità di fare questo mestiere. Ho cominciato con la quarta stagione in qualità di story editor, ovvero l’ultimo anello della catena. È stata una palestra di scrittura, mi ha insegnato il lavoro che amo e mi ha consentito di lavorare con il mio mito d’infanzia: Terence Hill.
Chi è Terence Hill?
È un principe russo che sembra uscito da un romanzo di Tolstoj, un uomo di altri tempi. Di recente sono rimasto colpito da una sua caduta dalla bicicletta durante le riprese. Terence ha la sua età ma non utilizza mai controfigure. Quando ho visto l’incidente, ho temuto per la sua incolumità. Lui, invece, si è tirato su, ha chiesto scusa per aver perso tempo, si è pulito e ha ricominciato a girare.
Passare da Gubbio a Spoleto è stato difficile?
È avvenuto sostanzialmente per questioni di produzione, per l’esigenza di trovare un luogo più vicino a Roma e con maggiori comodità. Le scelte, in tempi di crisi economica, hanno portato a questa soluzione, che per tutti è stata dolorosa.