Ne costituisce dodici perché stessero con Lui, per mandarli a predicare e per guarire i fratelli dal male (cfr. Mc 3, 13-19). Poi vengono i 72 discepoli e poi tutta la folla che lo segue. Ora se questo è lo stile di Gesù, esso diventa anche lo stile della comunità cristiana che potremmo definire ‘sinodale’, tipico già della Chiesa apostolica.La pagina del Nuovo Testamento, punto di riferimento del nostro Sinodo diocesano, non a caso è stata il capitolo 15 degli Atti. C’è una questione da risolvere all’interno della Chiesa ed allora si riuniscono gli apostoli e gli anziani ed esaminano il problema. Ne segue una ‘grande discussione’.
Prendono la Parola Pietro, Barnaba, Paolo, Giacomo. Alla fine si arriva ad una decisione: mettere per iscritto alcune indicazioni.
E’ un esempio di come è chiamata ad agire la comunità cristiana a tutti i livelli, universale, diocesano e parrocchiale.Questo ‘stile di Chiesa’ è una riscoperta del Concilio Vaticano II perché nel tempo a volte si è fatta un po’ di confusione tra la Tradizione e le nostre tradizioni, fino a rifarsi a modelli mondani piuttosto che alla Parola di Gesù. Il monaco dom Benedetto Calati in un’intervista di qualche anno fa descriveva il clima che spesso si viveva nella Chiesa prima del Concilio come “quello di una Chiesa ridotta a religione individualistica, fatta di obbedienza alla legge e di pure forme devozionali. Fino a devozionalizzare Dio, la Trinità, Gesù Cristo” (Raffaele Luise, La visione di un monaco, Cittadella editrice p. 38). Questa è una tentazione riscontrabile in alcune comunità o realtà ecclesiali che fanno un po’ di fatica a vivere un’ecclesiologia di comunione, una Chiesa popolo di Dio, chiamata ad abbattere muri e recinti, a ‘bruciare i divani’ come hanno detto i giovani a Firenze, per essere sempre meno ‘salottiera’ e nostalgica, sempre più pronta a guardare avanti e ad uscire per camminare insieme.
Si tratta quindi di ripartire dal Concilio Vaticano II che, nella Lumen Gentium, chiama i pastori a riconoscere e promuovere la dignità e la responsabilità dei laici: “I pastori, da parte loro, riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione, anzi li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa. Considerino attentamente e con paterno affetto in Cristo le iniziative, le richieste e i desideri proposti dai laici e, infine, rispettino e riconoscano quella giusta libertà, che a tutti compete nella città terrestre. Secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorre,lo facciano attraverso gli organi stabiliti a questo scopo dalla Chiesa, e sempre con verità, fortezza e prudenza, con rispetto e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo”.(LG 37). Anche il nostro sinodo diocesano parla degli Organismi di partecipazione e di corresponsabilità”: “La comunione ecclesiale deve concretizzarsi anche nell’esercizio della corresponsabilità. Questo implica obbedienza e condivisione nelle diverse scelte e proposte pastorali. Pertanto, gli organismi di partecipazione e corresponsabilità abbiano la giusta incidenza nella vita diocesana e parrocchiale, secondo quanto previsto dalle normative della Chiesa….Attraverso di essi si esprime la sinodalità della Chiesa, con il discernimento evangelico, nell’ascolto reciproco, mediante il confronto delle diverse posizioni, fino a maturare, secondo le responsabilità di ciascuno, decisioni condivise. (Libro del Sinodo n. 6). E’ chiaro allora che il Consiglio Pastorale diventa un modo di essere partecipi nella vita della Chiesa e soprattutto un esercizio della corresponsabilità che richiede discernimento evangelico, ascolto e confronto per poter arrivare a decisioni condivise.
Questo non sminuisce ma valorizza il ministero del parroco in una comunità, oltre che alleggerire il peso della responsabilità. Se la vocazione del pastore è quella di servire, chi non vorrebbe essere aiutato nel servizio? In modo ancora più specifico il Sinodo diocesano tratta l’argomento nel capitolo “Parrocchia e organismi di partecipazione”: “Gli organismi di partecipazione ecclesiale devono essere rispettati e valorizzati nella loro vera funzione. La consapevolezza della corresponsabilità impone diravvivarli, elaborando uno stile ecclesiale del consenso e di assunzione di responsabilità. In essi si attui sapientemente il consigliare e il presiedere”(Libro del Sinodo n. 65). Ecco il perché si è arrivati alla decisione di rinnovare domenica 22 novembre i Consigli Pastorali in tutte le Parrocchie, per valorizzare e ravvivare uno stile ecclesiale sinodale, basato sul consenso e assunzione di responsabilità da parte dei laici. Una scelta maturata dopo il cammino vissuto insieme con S. Paolo lo scorso anno confrontando, attraverso la 1 Lettera ai Corinzi, la vita di quella comunità, viva e problematica, con quella della nostra Chiesa. Ci siamo accorti che pure nella nostra moderna Corinto c’è una ricchezza di carismi ma anche un’esigenza di armonizzarli e mettere ordine, perché non ci siano divisioni e confusioni, ma unità e comunione. Il servizio del Consiglio Pastorale è pensato anche per questo: aiutare il pastore della comunità che, per dirla con uno slogan conosciuto, ‘non ha la sintesi dei carismi, ma il carisma della sintesi”. Il sinodo diocesano aggiunge qualcosa a proposito dei componenti dei CPP: “I loro componenti sianoqualificati non solo da competenza ed esperienza, ma soprattutto da uno spiccato senso ecclesiale, da una seria tensione spirituale e da una irreprensibile condotta di vita”, e raccomanda un metodo di lavoro che comporti ascolto, discernimento, programmazione e verifiche: “I Consigli Pastorali Parrocchiali abbiano possibilmente un proprio statuto e assumano un preciso metodo di lavoro, che non escluda una periodica verifica del proprio cammino. Nella Parrocchia il Consiglio Pastorale sia crogiuolo di unità e comunione, dove tutti, gruppi di servizio, associazioni e movimenti, concorrano, nell’accoglienza, nella stima reciproca e nella corresponsabilità, all’edificazione di una Chiesa-comunità sinodale, testimone e missionaria, per essere sale e luce nel territorio dove è peregrinante”(Libro del Sinodo n. 65). Tutto questo vuol dire che, se non si deve mortificare l’azione dello Spirito Santo e la creatività delle persone e delle comunità, è pur vero, come faceva già l’apostolo Paolo, che è necessaria una certa programmazione pastorale e, di tanto in tanto, una verifica comunitaria.
Il servizio del CPP diventa allora quello di contribuire all’edificazione di una Chiesa-comunità sinodale, testimone e missionaria. A tal proposito è davvero interessante quanto affermato da papa Francesco nel discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi lo scorso ottobre. Egli ha detto tra l’altro: “…Dal Concilio Vaticano II all’attuale Assemblea, abbiamo sperimentato in modo via via più intenso la necessità e la bellezza di “camminare insieme”(Papa Francesco, commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi17.10.2015). Questa esigenza non è insita solo nell’essere della Chiesa, ma anche il “mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione.Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”(idem)
Aggiunge papa Francesco: “Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”. A questo punto è bene ricordare che nella Chiesa, grazie al Battesimo, tutti abbiamo la stessa dignità di figli e questo vuol dire che l’appartenenza ad un organismo di partecipazione non pone qualcuno al di sopra degli altri: “Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi»perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino” (idem). E se prima del Concilio spesso per parlare della Chiesa si usava l’immagine della piramide, Papa Francesco parla di una ‘piramide capovolta’, cioè del vertice che si trova al di sotto della base: “coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti….Non dimentichiamolo mai! Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce, secondo le parole del Maestro: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27). Tra voi non sarà così: in quest’espressione raggiungiamo il cuore stesso del mistero della Chiesa – “tra voi non sarà così” – e riceviamo la luce necessaria per comprendere il servizio gerarchico” (idem). Queste affermazioni sono molto importanti in quanto non sempre l’umiltà caratterizza l’essere e il fare dei cristiani. Il problema di tante nostre comunità è che i ‘parenti stretti’, come don Mazzolari amava definire quelli che stavano più vicini alla Chiesa, non permettono ad altri di accostarsi. La lamentela che a volte si sente, circa la mancanza di un ricambio generazionale, non è dovuta alla non disponibilità delle persone, quanto alla nostra fatica di fare spazio, di dare fiducia, di pensare a chi verrà dopo di noi. Tante volte il Vescovo Carlo ci ha ripetuto che occorre abbandonare la logica del ‘si è fatto sempre così’, per attuare una necessaria ‘conversione pastorale’. Per concludere dice ancora papa Francesco: Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire». È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv14,17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap2,7)…: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama».Dall’ascolto viene la possibilità di un discernimento evangelico che permette di dare consigli perché il Parroco, con cui il CPP deve essere sempre in comunione, possa prendere delle decisioni: è il Parroco che dice ‘l’ultima parola’ ma dopo aver ascoltato prima ‘tante parole’! Ora si tratta di iniziare a lavorare – a tal proposito è importante la figura del segretario – a partire dallo studio degli statuti perché non rimangano lettera morta ma siano di aiuto per poter imparare a camminare insieme, dietro al Signore Gesù, misericordia del Padre.
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