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La dura vita degli anziani: errori nell’assunzione dei farmaci, rinuncia alle cure e diffidenza verso i medicinali generici

Di Maurizio Calipari

Persone anziane, nel nostro Paese sempre più numerose e sempre più in difficoltà nel gestire il loro vivere quotidiano. Ad esempio, sul versante gestione della propria salute. Basti pensare che – in base ai dati di un recente studio della Società italiana di geriatria e gerontologia (Sigg), condotto su un campione di 1.500 anziani con più di 75 anni, che hanno risposto ad alcune interviste telefoniche – sarebbero

oltre 3 milioni gli italiani over 75 (cioè quasi la metà della popolazione anziana italiana) che compiono errori nell’assunzione domestica dei farmaci prescritti.

Le risposte ottenute, infatti, hanno mostrato non solo come due anziani su tre non sappiano che il geriatra è il medico di base delle persone over 65 (cosa certamente non così preoccupante), ma anche che la metà degli anziani intervistati, nella loro veste di “pazienti”, spesso dimenticano di prendere le pillole, sbagliano le dosi, si confondono a causa delle diverse formulazioni del farmaco (gocce, pillole, ecc…), non sanno leggere e interpretare il bugiardino delle confezioni di medicinali (o perchè scritto con caratteri troppo piccoli oppure perché utilizza un linguaggio troppo tecnico). Di conseguenza, non sono rari i casi in cui il paziente anziano finisce per assumere una dose insufficiente di farmaco o, all’opposto, una quantità eccessiva, rischiando in questo caso di andare incontro ad effetti indesiderati anche gravi (ad esempio, l’aumento del rischio di cadute in seguito all’assunzione di anti-ipertensivi, antidepressivi o ipoglicemizzanti). A questi casi va aggiunta quella porzione di anziani che, per ragioni varie (economiche, sociali, familiari), rinuncia del tutto alle cure pur necessarie, abbandonandosi così ad una sorta di declino sanitario.
Commentando i risultati di questo studio – presentato durante l’ultimo congresso nazionale della Sigg – Giuseppe Paolisso, già presidente della Sigg, ha voluto sottolineare come “le aziende farmaceutiche dovrebbero prestare molta più attenzione agli anziani, magari pensando a commercializzare confezioni speciali di farmaci, realizzate per così dire ‘a misura di anziano’ e studiate per andare incontro alle loro capacità fisiche e visive”.

Un altro aspetto dolente riguarda l’uso dei farmaci generici. Per la verità, nonostante le numerose e frequenti campagne di informazione messe in atto dal Ministero della salute, i medicinali generici restano ancora decisamente poco utilizzati da parte di tutta la popolazione. Ma tra le persone anziane, questa sorta di “diffidenza” aumenta: soltanto il 30% dichiara di conoscerli e appena 900mila pazienti di fatto li utilizzano, mentre tutti gli altri preferiscono acquistare farmaci con denominazione più nota.

Una tendenza che finisce per incidere anche sulle già provate casse del Servizio sanitario nazionale. Questo, infatti, spende ogni anno circa 900 euro per ogni cittadino con più di 65 anni, e i pazienti anziani, complessivamente, spendono di tasca propria circa 7 miliardi di euro l’anno per farmaci e 1 miliardo per integratori.
Come potrebbe essere migliorata questa situazione globale che riguarda così tanti anziani? Forse anche a partire da piccoli rimedi, per lo più dettati dal buon senso. A cominciare dal medico curante che, ad esempio, prescrivendo i farmaci, potrebbe aver cura di redigere sempre per il paziente un foglietto scritto a mano, con la specificazione di quante medicine assumere nella giornata e delle modalità di assunzione. Magari ciò comporterà per il medico una piccola perdita di tempo, ma certamente contribuirà ad evitare confusioni ed errori nell’assistito.
Ma poi ci vorrebbero degli interventi più strutturali che, per lo più, riguardino le modalità organizzative di vita delle persone anziane.
Altri dati, infatti, – riportati dall’Ansa – devono far riflettere su questo aspetto. In Italia, 8 anziani su 10 possiedono una casa di proprietà e, nel 35% dei casi, queste persone vivono da sole, nel 65% gli appartamenti hanno più di 4 stanze e nel 76% il condominio non ha l’ascensore. Un quadro che fa emergere ancor più chiaramente l’esigenza di

trovare soluzioni per migliorare la qualità di vita degli anziani e per garantire loro maggiore sicurezza domestica,

anche a fronte del 20% di degenze ospedaliere improprie, che coinvolgono gli over 65 e che sono direttamente collegate alla mancata assistenza in casa propria. Proprio a questo proposito, Nicola Ferrara, presidente della Sigg, ha recentemente lanciato, al margine del recente congresso nazionale, la proposta di favorire e promuovere nuovi progetti di assistenza agli anziani che abbiano la finalità di aiutarli a casa, anzi “in condominio”, riducendo i costi socio-assistenziali e migliorando la qualità della loro vita. Tra le idee innovative – già sperimentate con successo in almeno sette Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia, Basilicata) – spiccano la “badante di condominio”, condivisa da due o più anziani che abitano nello stesso stabile, con una significativa riduzione dei costi; il “co-housing”, la condivisione cioè degli spazi abitativi da parte di due o più persone in un appartamento troppo grande per una sola persona; il “portiere sociale”, che ha il compito di monitorare la situazione dell’anziano che abita nel condominio e aiutarlo nelle sue esigenze. E poi c’è l’esperienza del “care manager”, che orienta la famiglia dell’anziano sui servizi sociali previsti dalla propria Regione e sugli adempimenti amministrativi necessari per avere accesso ad un servizio. In Toscana, infine, da sei mesi è in sperimentazione il servizio del “tutoring” per anziani: in caso di disagio, chiamando un numero verde, arriva un “tutor” entro 48 ore presso l’abitazione dell’anziano, per orientare ed attivare le azioni necessarie al caso.

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