«Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore»: è l’invito che, nella liturgia di questa domenica, ci fa il salmista.
Annunciate, cantate, dite, benedite, narrate…cosa? Un Dio che non si concede alcun riposo per amore del suo popolo, un Dio che gioisce per il suo popolo, un Dio che non vuole altro che rivestirsi e adornarsi della bellezza del suo popolo: «Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio», scrive il profeta Isaia nella prima lettura.
E’ lo stesso Dio che, anche a Cana, come leggiamo nel Vangelo, gode della gioia degli uomini e se ne prende cura. Le nozze sono il luogo privilegiato dove l’amore celebra la sua festa ed è lì che Gesù pone il primo dei suoi segni per riportare e ridonarci quella dimensione di vita che, quotidianamente, è chiamata ad assumere i colori, i sapori, il gusto della festa!
La dimensione di una vita, cioè, che non può rimanere stagnante ma che vuole aprirsi alla gioia, alla meraviglia, alla salvezza: «Nessuno ti chiamerà più abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo».
Non parliamo di un miracolo, non parliamo di un gesto eclatante o di un gioco di prestigio che, magicamente, trasforma la nostra esistenza in altro rispetto a quello che è e viviamo: una magia che elimina sofferenza, dolore, fatica…il vino che Gesù ci offre non è quello che non fa pensare, che annebbia, che fa dimenticare e ci “dona” un secondo di spensieratezza!
No! E’ la possibilità concreta di una vita che, fondata sulla risposta e sull’accoglienza della Sua Parola, diventa luogo privilegiato dell’incontro, dell’unione, dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, tra lo Sposo e la Sua sposa, tra il mio Dio e il mio quotidiano!
E del vino buono della mia vita tutti sono invitati a goderne: uomini di tutta la terra, tutte le genti, tutte le famiglie dei popoli cantiamo nel Salmo! La relazione con il Padre non è intimistica, non si chiude ad un “io” e un “tu” ma, nel momento in cui è vera e stabile, si apre naturalmente a quanti ci circondano affinché possano goderne e trarne beneficio.
Così, i carismi di cui ci parla San Paolo nella sua prima lettera alla comunità di Corinto, “diventano” effettivamente il frutto di questa relazione, del Dio che si compiace di me, che trova in me la sua delizia, che mi chiama con un nome nuovo ed entra sempre più in me. Ed ognuno con il proprio nome nuovo, con il proprio carisma, con il personale “faccia a faccia” con Dio, può diventare meraviglia, pace, riposo per tutti!
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