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Referendum trivelle: in primavera cittadini interpellati su scelte che modellano il futuro

TrivelleDi Giovanna Pasqualin Traversa

In primavera i cittadini italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sulla durata delle autorizzazioni già rilasciate per l’esplorazione e la trivellazione nelle acque oltre le 12 miglia, cioè a 22,2 chilometri dalla costa. Il 19 gennaio la Corte costituzionale ha infatti ritenuto ammissibile uno dei sei quesiti referendari in materia di estrazione di idrocarburi, il cosiddetto “referendum sulle trivelle”, presentato lo scorso 30 settembre da nove Consigli regionali (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise, inizialmente 10, compreso l’Abruzzo che poi si è ritirato), e già dichiarato ammissibile dalla Cassazione. Il quesito chiede l’abrogazione della norma che prevede che i titoli abilitativi già accordati oltre le 12 miglia – limite minimo ribadito dalle norme in materia della Legge di stabilità – possano durare fino all’esaurimento del giacimento, prorogando di fatto i termini già previsti dalle concessioni stesse. Per Legambiente, che ha elaborato i dati del ministero dello Sviluppo economico, la questione riguarda 127mila chilometri quadrati di fondali marini di Adriatico, Jonio e Canale di Sicilia. Dopo il deposito della sentenza – entro il 10 febbraio – il presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, indirà con un decreto il referendum che dovrebbe svolgersi in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Il tema  è da tempo seguito con attenzione dalle Chiese locali perché, spiega monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei,

“la nostra azione pastorale comporta il bene della persona, e quindi anche la difesa della vita e del territorio”. Soprattutto dopo la “Laudato si”, questo impegno “non può essere un optional”.

Le piattaforme petrolifere al largo delle coste pugliesi e molisane sono “un’ulteriore aggressione a una realtà già fragile” e vanno a “intaccare la vocazione legata al mare, al turismo, alla pesca, all’agricoltura e all’artigianato di un territorio già ferito”.  Sulla stessa linea monsignor Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca:

“Il Sud non può diventare una pattumiera. Non si vede il motivo per cui, con i problemi che già abbiamo, si debba intervenire anche nel mare” deturpando un territorio la cui “unica risorsa è il turismo”.

Il presule ha sollevato il tema generale della politica energetica: “C’è una questione di carattere strategico che riguarda l’impostazione di questa politica. Bisogna cercare altre fonti energetiche”. Dall’ arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, monsignor Giovan Battista Pichierri, il monito a non “avventurarsi in progetti dall’esito incerto al costo della rottura di labili equilibri dell’ecosistema”.

“Speriamo che vengano bloccati i progetti di trivellazioni petrolifere sulle coste dello Jonio e dell’Adriatico”, l’auspicio di monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio. “Il nostro territorio”, aveva detto lo scorso ottobre, già “troppo ‘sfigurato’ delle sue bellezze naturali”, attende di “essere ‘trasfigurato’ da un nuovo umanesimo” fondato “sull’economia di comunione e non più sull’egemonia del dio-denaro e del profitto massimizzato”. Un fermo no al progetto “Ombrina mare” di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi al largo della costa teatina, ora bloccato da un emendamento del governo alla Legge di stabilità, era venuto anche dai  vescovi di Abruzzo e Molise.

Ma la questione trivellazioni non riguarda solo i fondali marini. E’ di pochi giorni fa la “soddisfazione” della Commissione per la pastorale del lavoro del Piemonte in merito al parere negativo espresso, a fine anno, dalla giunta regionale nei confronti della richiesta dell’Eni di effettuare trivellazioni esplorative a Carpignano Sesia (Novara). Monsignor Marco Arnolfo, arcivescovo di Vercelli e incaricato per la Pastorale sociale e del lavoro, e donFlavio Luciano, responsabile regionale della Pastorale, prendono atto che “l’unanime volontà delle popolazioni, delle amministrazioni locali è stata tenuta in considerazione insieme ai pareri dei tecnici” .

Sul significato e sulla posta in gioco al referendum, Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord, dichiara:

“Di fronte a scelte che impegnano pesantemente il futuro dei cittadini è doveroso interpellarli; la politica ha infatti orizzonti temporali ben più brevi di quelli di una popolazione che ha le sue radici sul territorio,

e che quindi è assai più interessata a lasciare una prospettiva di vita sana ed equilibrata ai propri figli, piuttosto che preoccuparsi degli effetti, per giunta anche modesti, che gli idrocarburi estratti possano avere per venti o trent’anni sul bilancio energetico nazionale”.

Chiarissime, sottolinea, “le parole di Papa Francesco al punto 183 dell’Enciclica Laudato si’”.

Per Masullo, “il petrolio italiano non è tanto, le risorse certe corrispondono a poco più di un anno degli attuali consumi, quelle ipotetiche forse a qualche anno in più”. Se si trovasse anche metano “sarebbe comunque un modesto contributo alla transizione verso le energie pulite e rinnovabili. Ma fra trent’anni, come sottolinea l’accordo sul clima firmato a Parigi e prima ancora i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite,

se non avremo percorso un bel pezzo di strada lungo la costruzione di un nuovo modello economico responsabile e sostenibile”, sarà “troppo tardi per evitare la catastrofe annunciata dagli scienziati”.