MONTELPARO – A Montelparo, altro fine settimana di grande spessore e cultura. Dopo il convegno del Gal-Fermano di Venerdì 22 gennaio scorso, ecco andare in scena la giornata dedicata al grande Fotoreporter Mario Dondero! Una serata prevista per sabato 16 gennaio scorso, ma annullata per le copiose precipitazioni nevose che si erano riversate su Montelparo e sulla sua “Rievocazione del Baccalà”! Era qui, per l’occasione, Laura Strappa, la compagna, la donna cortese e autorevole che gli è stata vicina in questi anni. Ella ha voluto donare, a questo piccolo paese dell’entroterra fermano, gli scatti con i quali, il grande artista della fotografia, aveva fermato il tempo in quella edizione della Festa di Sant’Antonio Abate del 2015. Ed ha voluto essere presente alla cerimonia che quell’evento ricordava. Con il grande amico di Dondero, il fotografo Pacifico D’Ercoli (responsabile della fototeca provinciale di Fermo) Laura Strappa ha sintetizzato il personaggio Dondero e ha chiarito come dai suoi lavori trasparisca umanità e semplicità (anche negli scatti fatti a personaggi famosi, Egli, fotografava la semplicità! ). E ha aggiunto: le foto di Dondero coinvolgono chi le osserva perché spontanee e naturali. Proprio come se noi fossimo dietro alla macchina fotografica! Dondero affermava anche che le foto restano: sono la storia del vissuto. E’ necessario conservarle, diceva, per non rinunciare a ciò che siamo stati.
In questo stato di commozione e massima attenzione di chi era presente, nel ricordare gli scatti fatti a Montelparo per la Festa di Sant’Antonio Abate, si inseriva il prof. Luigi Rossi, storico delle tradizioni locali, con una sua eccellente e apprezzata relazione:
“La festa di Sant’Antonio Abate nella tradizione popolare”
“Il culto di Sant’Antonio protettore degli animali risale al medioevo ed è diffuso in tutta l’Europa cattolica. Da quando le reliquie del Santo anacoreta egiziano, morto a 105 anni nel 356 d.C., furono portate nel Delfinato in Francia nell’XI secolo sorse un ordine monastico detto Antoniano che si dedicava alla cura degli infermi soprattutto quelli affetti da herpes (fuoco di Sant’Antonio), piaghe, ecc. Nei villaggi e nei paesi dove operavano questi monaci si diffuse l’usanza di allevare un maiale, lasciato libero di girare per le vie in qualità di “porco di Sant’Antonio”, che sarebbe stato poi dato ai frati anche per farne unguenti. Altri invece vogliono che il culto sia derivato dal fatto che il santo veniva tentato nel deserto dal diavolo sotto sembianze animali. Sta di fatto che il santo è rappresentato sempre con un bastone, la campanella, il maiale e un fuoco acceso. Successivamente, con la diffusione della stampa, al maiale si aggiunsero altri animali e l’immagine veniva appesa nelle stalle. La festa del santo, il 17 di gennaio, divenne presto, nella società contadina, la più importante dell’anno. Gli animali, infatti, rappresentavano una fondamentale risorsa sia nel medioevo quando l’allevamento era prevalente sulla cerealicoltura che nel successivo sistema mezzadrile quando il grano e l’olio finivano quasi tutti nei magazzini padronali. Gli animali, definiti “scorte vive” nelle polizze di mezzadria, erano allevati non tanto per la carne quanto per “il fruttato” (lana, formaggio, uova, agnelli, polli), il grasso e l’aiuto nel lavoro dei campi (bovini). L’allevamento era particolarmente impegnativo soprattutto prima che si diffondessero il mais e le foraggere nell’Ottocento. La necessità di avere dei protettori celesti quando non c’erano rimedi medici, veterinari e tecnologici era quindi condivisa da uomini e animali. Il contadino, poi, che viveva quasi in simbiosi con gli animali condividendo con essi l’abitazione, il lavoro e a volte il cibo sentiva il dovere di impetrare per essi una protezione divina perché “una disgrazia nella stalla è peggio che in casa” che poteva portare alla rovina. Il giorno di Sant’Antonio si aveva particolare attenzione nella cura degli animali con pulizia accurata delle stalle, riposo assoluto, cibo abbondante, anzi addirittura pane bianco benedetto (le panette). L’organizzazione della festa era prerogativa esclusiva di un comitato di contadini che provvedeva alla questua, agli spari dei tonanti nei giorni precedenti, a ordinare e pagare le messe, la processione, la banda musicale, la benedizione degli animali, la lotteria serale, ma soprattutto la” mangiata”, alla quale erano invitati anche i non contadini e i padroni, e che rappresentava l’occasione per una sorta di rivincita del mondo contadino su quello cittadino e di quello animale su quello umano.”
Anche per questo servizio ha collaborato alla grande Cristian Mostardi che ha fornito le foto e gli atti degli interventi! A lui un grande ringraziamento.