Di Viola Barbisotti e Davide Capano
La discoteca è passata di moda. È meglio il divano dell’amico piuttosto che il privé, la musica si ascolta meglio su Spotify che in pista e il drink è più buono bevuto in un lounge bar che schiacciati contro il bancone. In Europa, ma non solo, le discoteche stanno chiudendo i battenti e il declino non accenna a fermarsi. In Italia i primi dati negativi, riportati da “The Economist” si riscontrano dal 2006, quando le discoteche risultano già dimezzate rispetto a dieci anni prima: da 5000 locali a 2500. Nel 2011 si è registrato un calo del 20% degli ingressi solo nel periodo estivo; il giro d’affari si è ridotto notevolmente, passando da 975 milioni di euro del 2007 agli 860 del 2012.
Di chi è la colpa? Dei “millennials”, o “generazione y”, termini creati ad hoc per indicare i figli della “generazione x” ovvero quella dei nati tra il 1960 e il 1980. Come riporta il sito “Insider”, per l’istituto di ricerca Gfk i “millennials” possono essere categorizzati in tutti gli individui nati tra il 1977 e il 1994. Sono molto diversi dai loro genitori: sono cresciuti immersi nella tecnologia, sono diventati adulti armati di smartphone, ossessionati dai social media e preferiscono spendere i loro guadagni in esperienze di valore piuttosto che in cose materiali. Un identikit che farebbe pensare alla “millennial generation” come la perfetta protagonista di una serata in discoteca. Ma allora perché questa crisi? La risposta è molto semplice: “cercano la condivisione tecnologica, sono fruitori attivi”, spiega Alessandro Rosina, docente di demografia nella Facoltà di economia dell’Università cattolica di Milano e direttore del Dipartimento di scienze statistiche.
“È nel vedere un film in sala con gli amici o nel partecipare ad un concerto e vivere il protagonismo del cantante che la millennial generation trova soddisfazione”.
Rosina sintetizza il comportamento dei “millennials” in quelle che lui definisce le “quattro c”: la “generazione y” è sempre “connessa” (“connected”); è sicura di sé nonostante le incertezze che si trova ad affrontare (“confidence”); è incline al “cambiamento” e trova fondamentale la “condivisione”.
La discoteca è “un luogo di non-condivisione, di non-socializzazione, non consente di condividere appieno l’esperienza e non lascia spazio ad una fruizione attiva”.
La “generazione y”, libera di scegliere dove passare una serata, non opta spesso per i vecchi luoghi della notte. Una ricerca realizzata dagli istituti americani Uli e Lachman Associates, indica che solo il 60% degli intervistati frequenta le discoteche. Di quella percentuale, solo il 25% lo fa più di una volta al mese. I “millennials” non vanno in discoteca perché costa troppo, perché è claustrofobica o non è sicura; ma è la tecnologia a giocare un ruolo fondamentale nella ricerca di intrattenimento e nella comunicazione. Con fonti molto limitate per scoprire nuova musica, la “generazione x” dipendeva anche dalle discoteche, che dettavano le regole su cosa ascoltare e ballare. Questo valore aggiunto è sfuggito dalle loro mani. Lo stesso vale per la socializzazione: se per i genitori, in mancanza di alternative, la discoteca era il luogo di aggregazione ideale, i figli preferiscono il filtro dei social.
Meglio lo schermo della pista da ballo. Questo riguarda per lo più le donne che si sentono più sicure dietro uno schermo che in un’affollata discoteca. Sophie Wilkinson, del “feminist” site “The Debrief”, spiega che una donna “non si sente mai davvero sicura in una discoteca. È più semplice selezionare le conoscenze e gli approcci se si usa un sito o una app”. Se la “millennial generation” non va in discoteca, dove va? Pratica sport, si “abbuffa” di serie televisive, beve alcolici a casa di amici o in locali alla moda, legge, guarda film e va ai concerti, partecipa ai festival e si diverte agli happy hour. Discoteche? Neanche l’ombra. Ma hanno ancora una speranza di un futuro nella vita dei “millennials”? Le speranze dei proprietari di discoteche non si spengono, ma la soluzione è molto chiara: serve una novità. Ed ecco che iniziano a spuntare musei con annessi bistrot, locali alla moda aperti in ex magazzini o fabbriche in disuso, osterie con vista, locali a tema e silent disco. Si apprezza la musica live e lo slow food, il riciclo e l’originalità. La sopravvivenza dei locali notturni sta nello spirito d’adattamento e la linea vincente sembra già tracciata.