DIOCESI – Abbiamo intervistato Don Silvano Serboni, docente di Liturgia, parroco e direttore dell’Ufficio Liturgico nella diocesi di Alessandria.
Don Silvano lei nasce come pastoralista e in seguito diventa liturgista. Cosa l’ha portata a questa decisione?
Penso che la nostra vita sia guidata dal caso, ma il caso fa parte della vita. C’è sempre un disegno di Dio dietro tutto questo. Io fui ordinato presbitero nel 1964, provenivo però da un’esperienza di lavoro ed entrai in seminario a 18 anni, quindi non più un ragazzino. Provenivo dall’azione cattolica, c’era in me una passione per gli altri (l’azione cattolica d’altronde era molto inserita nella vita della mia parrocchia). In quell’anno, nel ’64, era da poco uscita la costituzione conciliare sulla liturgia e il vescovo venne a casa da Roma chiedendo un esperto per la liturgia. Fui mandato dal vescovo a studiare liturgia a Parigi, sempre col desiderio profondo di continuare la pastorale in parrocchia.
Girando in Italia, quali sono gli abusi liturgici che ha riscontrato con più frequenza?
Io, come tutti, sono tentato a vedere più gli abusi che non gli usi leciti. È un dato di fatto che le cose mal fatte emergono più facilmente, tento però di non lasciarmi condizionare dagli abusi. Non ho mai fatto il calcolo degli abusi. A volte più che abusi, sono prodotti dell’ignoranza e del cattivo gusto più che prodotti da cattiverie: ecco perché quello che da anni si dice sulla formazione si deve tenere al primo posto, perché non c’è cattiveria, c’è mancanza di formazione. Il bello, il giusto, è sempre più interessante dell’abuso.
Si è parlato negli ultimi anni di alcune pratiche, come ad esempio il tenersi la mano o meno durante il Padre Nostro. Cosa ne pensa? È giusto soffermarsi su questi aspetti della liturgia?
Anche lì tento di distinguere ciò che è lecito da ciò che non è opportuno. Sul padre nostro non farei un processo: non è un peccato di morte darsi la mano durante tale preghiera; piuttosto si dovrebbero alzare le braccia al cielo come fa il sacerdote, come segno di adorazione e di attesa. Bisogna pensare ai gesti che si fanno: perché dare la mano due volte, perché cercare un doppio contatto? È un gesto umano che viene spontaneo in tutte le religioni.
Tante volte nelle parrocchie le figure dei ministri della comunione non vengono più vissute come un servizio ma come una posizione d’onore. Qual è il giusto spirito in cui vivere questo scompito?
Nonostante i cattivi esempi del passato e del presente, nonostante l’esempio di papa Francesco, non riusciamo a imparare che nella Chiesa non si fa carriera, nella Chiesa si fa servizio, che è vita natural durante ma non secondo i nostri scopi e le nostre congetture; se noi prestiamo servizio è a causa di necessità della Chiesa. Nessun servizio è un motivo di vanto, non ci sono titoli onorifici, è solo una disponibilità a servire, tant’è vero che un servizio c’è nel momento in cui lo si richiede. Proprio per questo i ministri straordinari della comunione hanno un mandato ad tempus, cioè a tempo determinato: questo per evitare la tentazione di tutti all’interno della chiesa di diventare non i servi del vangelo, ma coloro che si servono del vangelo per mettere in mostra se stessi. Nelle comunità cristiane è bene che ci sia una rotazione tra queste persone, per evitare figure come le perpetue di manzoniana memoria che hanno, alla fin fine, più potere del parroco.
Come poter mettere in risalto il sacramento della riconciliazione?
Io non saprei più cosa aggiungere: sono quasi tre anni che papa Francesco insiste sula riconciliazione e la misericordia come cuore del sacramento della penitenza. C’è una modalità liturgica, ma soprattutto pratica, ma la modalità in cui si svolge la confessione non aiuta a percepire la misericordia di Dio, ma questo non per colpa del penitente, ma del ministro. Ci sarebbe anche una parte di formazione che dovrebbe evidenziare meglio che cosa è il peccato, perché il più delle volte i nostri cristiani non sanno cosa è il peccato, che invece è solo una mancanza d’amore.
Come si può far arrivare maggiormente il volto misericordioso di Dio?
La celebrazione è un momento anonimo in cui il primo gesto è sentirsi accolti, sentirsi a casa. Se uno non si sente accolto, non può cominciare l’eucarestia. Uno si sente accolto anche dall’intervento durante l’omelia del prete. La figura del ministro dell’accoglienza è da riscoprire, una figura antica che aveva il compito di accogliere le persone: questi potrebbero dare il foglietto della messa o accogliere i genitori del catechismo. Non sono figure anonime, ma aiutano ad accogliere le persone e farle entrare nella parrocchia.
Chiudiamo con un racconto simpatico, quale è la cosa più strana che ha visto a livello liturgico?
Dunque, ci fu un anno, alla festa dei santi, durante la celebrazione con i ragazzi, una processione che vide sfilare insieme al corteo religioso le zucche intagliate con le candele dentro e la processione entrò in chiesa! Penso che i ragazzi debbano essere educati in un altro modo.
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