SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si è tenuto presso il Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto la festa per i venti anni di presenza delle sorelle clarisse a San Benedetto del Tronto.
Il Monastero accoglie una comunità di monache che vivono in clausura secondo la regola di Santa Chiara d’Assisi, dedicandosi alla preghiera, al lavoro manuale ed alla meditazione della Parola di Dio che condividono con le persone singole o i gruppi che chiedono di essere accolti.
Un loro carisma è quello di portare la misericordia di Dio nel mondo, vivendo il loro servizio nella vita comune, nella preghiera, nel lavoro e nella collaborazione pastorale in diocesi. La struttura che ospita le sorelle clarisse, situata in zona Ponterotto, è nata con l’allora vescovo mons. Chiaretti, si è sviluppato sotto il vescovo mons. Gestori e prosegue il suo percorso di fede grazie al sostegno del vescovo Carlo Bresciani.
Durante la celebrazione presieduta il Provinciale dei frati minori conventuali delle Marche, padre Giancarlo Corsini, ha affermato: “Qualcuno di voi si ricorderà com’era la casa, prima, durante e dopo. Prima era una casa abbandonata, fatiscente; poi una casa restaurata; dopo ancora una casa che pian piano è cresciuta, come pian piano è cresciuta la comunità delle monache. Credo sia bello sedersi qui e guardare quello che il Signore ha compiuto in questi anni, nel segno di una gratitudine grande. Ricordo un’espressione strana di alcuni muratori che lavoravano qui vicino e vedevano alcune monache che zappavano l’orto (e quanto erano esperte!); insolite scene per i loro occhi, ma pian piano si registrò una crescita. Mettiamo, ora, che una coppia si sposi per un’avventura qualsiasi perda la fede: se nel matrimonio abbiamo una donna e un uomo seri, il matrimonio va avanti, perché ha due punti di appoggio.
Se la vita di un consacrato non ha un punto d’appoggio (e unico) che è Gesù Cristo, la vita non regge; o si fonda la vita sulla Parola, e la Parola diventa l’alimento, la bussola, il metro di misura del tuo camminare, lo stile del tuo seguire il Signore, la vita va avanti. La comunità non è l’insieme di persone tutte uguali: c’è a volte un ideale di comunità in cui tutti fanno allo stesso modo e nello stesso tempo le stesse cose; questa è la brutta copia della comunità. La comunità è invece l’insieme di persone diverse che camminano insieme e si arricchiscono della diversità vicendevole. Coniugare le differenze non è semplice, come in ogni ambito, e occorre un profondo spirito di fede che ti aiuta a guardare l’altro nella dimensione limitata della sua vita, scoprendo e toccando nell’altro la carne di Gesù Cristo; allora l’altro diventa l’icona del fratello. Qualche volta il Signore ci manda dei fratelli un po’ difficili perché ci fanno bene e ci aiutano nella nostra conversione, perché mettono in evidenza i limiti che da soli non avremmo mai scoperto. La Chiesa non è la casa delle regole, non è nemmeno la casa, dove tutto è pulito: la Chiesa è la casa in cui noi, i poveri, riceviamo il vangelo, la buona notizia, che non arriva perché tutto è a posto e tutto è in ordine, ma perché Dio, con la sua benevolenza, ci è venuto incontro e ci ha amati per primo.
Egli continua ad amarci sempre, anche quando noi non ce la facciamo, perché ci sono dei giorni in cui guardiamo in basso, dei giorni in cui ci alziamo con la luna storta. Il Signore continua ad amarci. Una comunità consacrata si regge sulla Parola, si nutre della comunione fraterna che scaturisce dall’Eucarestia ed è capace di parlare una buona notizia. Molte cose, confidenze o s.o.s., che le monache ricevono non potranno risolverle, perché molti problemi non sono nostri e non sono di facile soluzione; noi non abbiamo ricette per tutti e d’altra parte Dio non ci ha chiesto di salvare il mondo, perché quello spetta a lui. Ma se un fratello viene al monastero o in parrocchia chiede semplicemente di essere ascoltato, che qualcuno condivida con lui la sua fatica e magari dica semplicemente “io ti voglio bene”, e non è una cosa di poco conto. Capite che la ricchezza di una presenza monastica in una città non si misura quantitativamente, non fa parte del Pil, ma si misura in Cristo che è in vista del Regno di Dio. A me piace moltissimo un libro, il “Dialogo delle carmelitane” di Georges Bernanos. Siamo ai tempi della Rivoluzione francese e una nobile chiede di entrare in monastero, ma la badessa, una donna molto forte, le risponde: “Noi non siamo un istituto di moltiplicazioni, né un conservatorio di virtù; noi siamo delle donne votate all’orazione. Se il mondo non crede nella potenza dell’orazione, non potrà considerarci altro che impostori o parassiti; ma per chi crede nella potenza dell’orazione, noi siamo una casa di orazione”. Questa è una casa di orazione: il vostro cammino è scandito dalla campanellina che scandisce le lodi, l’ora media, il vespro, la compieta, e che accompagna l’uomo contemporaneo che spesse volte non ha un briciolo di speranza. Noi oggi venereremo un’icona, preparata da padre Paolo, e l’icona di questo monastero, la Madre della Speranza, madre dei poveri. Celebro questa messa per gli amici del monastero: ci sono quelli vivi e quelli che sono in Paradiso; tutti quelli che le sorelle si sono trovati sul loro cammino in questi venti anni.” Dopo le parole pronunciate da padre Giancarlo è stata scoperta l’icona realizzata da Paolo Bocci. “Ti offriamo, o Signore, questa icona della Madre di Dio, Stella Maris, per celebrare l’anniversario della fondazione del nostro monastero – ha affermato la superiora, suor Riccarda -. Ad essa, segno di speranza per il popolo di Dio, vogliamo affidare ancora il nostro cammino di vita comunitaria. Come madre, essa divenga nel nostro monastero segno di speranza per tutti coloro che emarginati dalla società cercano un punto luminoso per incontrare l’amore di Dio e doni calore e vita ai giovani che hanno perduto il senso della vita. La dolcezza della Madre sappia lenire le sofferenze di ogni cuore e infonda la speranza che viene da Gesù, vincitore del male e della morte.
Ci protegga e ci accompagni la Madre perché doni a noi, figlie di santa Chiara, la grazia di vivere come ancelle umili e appassionate la piena comunione con il nostro amato sposo Gesù.”
Il pomeriggio di festa si è concluso con un momento di convivio condiviso con tutti presenti.