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Padre Pio e il valore salvifico della Resurrezione

Padre Pio torna nella sua Casa. L’Opera del suo cuore sacerdotale, Casa Sollievo della Sofferenza,  è pronta ad accogliere il suo Fondatore. Il 14 febbraio, prima domenica del tempo di Quaresima, l’urna contenente le spoglie mortali di Padre Pio sarà collocata nella Chiesetta del terzo piano dell’Ospedale, per il saluto e la venerazione di tutti gli ammalati, del personale che opera in Casa Sollievo e dei pellegrini e devoti del santo.

Una “Casa” contemplata da sempre, man mano che l’umile Frate fu misticamente introdotto nelle “cose” di Dio, nel processo di unione con Lui, insieme dolce e amaro, per il ciclico alternarsi di presenza e “assenza” divina. Da qui Padre Pio poté leggere che quanto il Signore andava operando in lui, quelle che lui stesso diagnosticava come “eccezionali condizioni” di salute, erano un fattore preparatorio a quella conformazione a Cristo alla quale, attraverso la mediazione della “Casa”, si sarebbe dovuta configurare l’umanità sofferente. In questo modo si suggeriva anche un modello ospedaliero.

A conforto di quanto andava vivendo l’umile Frate, un brano inequivocabile della Scrittura: “Completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1,24). Un passaggio che può trovare luce in una prospettiva certamente cristologica ma anche mistico ecclesiale. E cioè, nulla manca in effetti ai patimenti di Cristo, manchiamo soltanto noi.

Si tratta in altre parole di lasciar soffrire il Cristo in noi, e in questo modo consentirgli di portare il suo giogo in noi. Una realtà che abbraccia in un’ottica di speranza tutto il mondo della sofferenza. Padre Pio comprese a questo livello che la sofferenza va vissuta in Cristo e quindi vicino alla croce. E inoltre che tutto andava letto nell’orizzonte della resurrezione.

Assumendo per grazia questo status, che egli in ascolto dei sussurri dello Spirito, volle accogliere offrendosi come vittima, così come aveva fatto Gesù, per tutti i peccatori e sofferenti, gli fu dato di partecipare in modo unico e singolare al medesimo sacrificio di Cristo.

E’ il mistero della sofferenza, l’ingresso nella via del servo sofferente, così com’è presentato nel libro di Isaia. Ma è anche una questione di sguardi. Contemplando Dio, elevando a Lui la sua fervente preghiera, Padre Pio potrà poi guardare con occhi diversi, diremmo con Von Balthasar “con gli occhi di Dio”, la realtà circostante intorno a lui, persone e terre.

Ecco lo sguardo del pastore che osserva pecore affaticate e oppresse, povertà, arretratezza, emarginazione sociale ed altro ancora. Da questo sguardo nasce l’azione. Abbiamo quindi il conforto della parola di Dio, base dalla quale Padre Pio poteva trovare orientamento e vedere purificata la propria preghiera, luogo dove incontrare il Signore. Ma poi, da questa, Padre Pio giungeva a quell’opera di riconoscimento che avviene, come insegna la storia di Emmaus (Lc 24,13-35), solo nell’Eucarestia. sappiamo quanto essa fosse centrale nella spiritualità di Padre Pio. Da essa nasce il servizio.

Un’opera affidata alla Provvidenza perché non fosse luogo di esercizio della superbia o di alcuna autoreferenzialità, ma accadimento nel quale si potesse sperimentare il primato di Dio. Quando un’opera della provvidenza si lascia configurare a tale dettame spirituale diviene infatti luogo di metanoia, occasione di conversione. In questa luce si può leggere il servizio di quanti hanno dato la loro vita per promuovere e testimoniare l’apostolato della “Casa”.

Pensiamo ai primissimi collaboratori di Padre Pio, in prevalenza laici, ben prima del focus sulla dimensione laicale che ci donerà il Concilio, ma anche a quanti servono l’Opera oggi.

Si potrà osservare che chi parla dell’Opera ne parla da avvinto, da innamorato, e lascia trasparire quel sano stupore, quella santa meraviglia che interviene sempre quando si tratta delle opere di Dio.

Padre Pio desiderava il meglio per la sua Opera, auspicava che fosse costruita bene e che si offrisse al paziente e ai poveri ammalati, il massimo che la scienza medica potesse garantire, in percorsi terapeutici eticamente in linea con il magistero della Chiesa cattolica. Scienza e preghiera insieme. Un’alleanza per il bene del paziente e una chiara antropologia integrale come riferimento imprescindibile.

La “Casa” dovrà attraversare vari tempi e stagioni. La nascita dal nulla, il tempo della seconda guerra mondiale, l’inizio dei lavori, gli interventi fruttifichi della provvidenza fino ad arrivare all’inaugurazione della Struttura ospedaliera il 5 maggio del 1956. E poi non ci si è mai fermati. Padre Pio vivente avallò i lavori dei primi ampliamenti e della costante rifunzionalizzazione dell’Ospedale.

Una “Casa” che fin da sempre ha avuto un grande impatto sul territorio, innanzitutto sul piano morfologico, trasformando la geografia della Montagna, in sintonia con una sostenibilità ambientale, parametro incarnato da Padre Pio in stile francescano. Rimboschimento, creazione di una fattoria dalla quale potevano essere tratti cibi adeguati alla salute e al pieno recupero fisico del paziente. E poi anche una possibilità per dare lavoro a un territorio del Mezzogiorno in preda fin dagli anni ante guerra a una grave depressione economico sociale.

La fede seguita dalle opere può trasformare la realtà e generare percorsi virtuosi e servizi dall’ampio valore testimoniale. Chi si accosta alla “Casa” anche oggi, percepisce il “profumo” di Dio, la presenza della sua mano provvidente, la sua guida per diaconizzare il regno di Dio nel qui ed ora della storia, facendosi in un certo modo, richiamiamo ancora Von Balthasar, “contemporanei del Vangelo”.

Sara De Simplicio: