Dio, leggiamo nel libro della Genesi, si impegna in prima persona in un giuramento solenne con Abram: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle […] Tale sarà la tua discendenza». Abram si lascia “condurre fuori” da Dio, condurre fuori dalla propria casa, cioè dalle proprie sicurezze, dalle proprie certezze, per dare fiducia a Lui solo, alla sua assicurazione di vita e di fecondità.
Abram «credette al Signore», il suo guardare al cielo, il suo riferirsi e abbandonarsi solo a Dio lo rendono stabile, saldo nella relazione con Lui.
Il Signore si spinge ancora oltre: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate». E la cosa più incredibile è che, tutto questo, Dio non si limita a prometterlo ma vi si impegna con un contratto vero e proprio.
«…ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi…»: in un rituale di alleanza, i due contraenti passano in mezzo alle parti divise degli animali uccisi per il rito, invocando su di loro la sorte riservata agli animali stessi nel caso in cui si rivelassero infedeli agli impegni del contratto. In questo caso, Abram non passa in mezzo alle parti divise: Dio solo lo fa impegnandosi “unilateralmente” con l’uomo.
Anche nel Vangelo facciamo esperienza di questo Dio che si mette in gioco con l’uomo; non ci sono animali divisi in mezzo ai quali passare che sanciscono l’alleanza…c’è il dono di un Figlio: «Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo». E’ Gesù la promessa in carne e ossa, l’alleanza nuova, eterna ed irrevocabile di Dio con l’uomo. E’ Gesù, Lui che «prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare», che ci tira fuori, cioè, dalla visuale limitata con cui siamo abituati a vedere le cose e ci porta con sé per aiutarci a guardare in alto, come accadde tra Dio e Abram. Guardare in alto e contemplare la Bellezza che è Dio.
«Mentre pregava il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante»: contemplare trasforma, si diventa ciò che si ama, ciò che si prega. La pienezza di Dio che Gesù vive è per noi quella certezza che la nostra storia ha un futuro di bene dal momento che, proprio a questa storia, Dio si è legato con una promessa eterna e irrevocabile, suo Figlio. La trasfigurazione ci dice, allora, che non è la passione l’esito della storia ma la resurrezione. Ce lo ricorda la presenza al Tabor degli stessi Mosè ed Elia, gli uomini del faccia a faccia con Dio, protagonisti di una relazione intima e profonda con il loro Signore, una relazione di vita e di fecondità per il popolo loro affidato.
Anche San Paolo lo ribadisce: «La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso».