Una nuova vibrante invettiva contro le arroganze e i soprusi dei potenti. È il messaggio che giunge dall’Udienza Generale odierna di papa Francesco, che, attingendo ad almeno tre fonti bibliche, ha ricordato come “in diversi passi” della Sacra Scrittura, si parli delle malefatte dei “potenti”, dei “re” e di chiunque stia “in alto”.
“La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità”, ha sottolineato il Santo Padre, aggiungendo, però, che “troppo spesso” tutto ciò viene vissuto come un “privilegio” e come un pretesto per esercitare “egoismo e prepotenza”, seminando “corruzione e morte”.
Il primo episodio biblico menzionato dal Pontefice è quello del re Acab (cfr. 1Re 21,3), intenzionato ad acquistare la vigna di Nabot, la cui proprietà confina con il palazzo reale. “La proposta sembra legittima, persino generosa – ha ricordato a tal proposito il Papa – ma in Israele le proprietà terriere erano considerate inalienabili”, di conseguenza Nabot rifiuta l’offerta.
Vedendo Acab amareggiato, la regina Gezabele, una “pagana che aveva incrementato i culti idolatrici e faceva uccidere i profeti del Signore”, spinge il marito a reagire (cfr. v.7), ponendo l’accento “sul prestigio e sul potere del re, che, secondo il suo modo di vedere, viene messo in discussione dal rifiuto di Nabot”. In nome di un potere assoluto, quindi, per Acab, ogni desiderio “diventa un ordine”.
Per soddisfare il capriccio del marito, Gezabele mette in atto un piano diabolico: “Si serve delle apparenze menzognere di una legalità perversa: spedisce, a nome del re, delle lettere agli anziani e ai notabili della città ordinando che dei falsi testimoni accusino pubblicamente Nabot di avere maledetto Dio e il re, un crimine da punire con la morte”.
La vicenda di Nabot, Acab e Gezabele, “non è una storia d’altri tempi, è una storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, la gente; è la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero con il minimo, è la storia dei politici corrotti che vogliono sempre più e più e più”, ha commentato Bergoglio, consigliando di leggere il libro di Sant’Ambrogio su Nabot, in quanto “d’attualità”.
La sete di potere, oggi come ieri, “diventa cupidigia che vuole possedere tutto” ed è il segno di “un’autorità senza rispetto per la vita, senza giustizia, senza misericordia”.
La predicazione di Gesù rovescia questa concezione: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono”, dice ai discepoli, spiegando, però, che la loro condotta sarà diversa: “chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20,25-27). La “dimensione del servizio”, diventa dunque un’alternativa e una risposta al “dominio e alla sopraffazione”.
Sempre nell’Antico Testamento, incontriamo il passo di Isaia in cui “il Signore mette in guardia contro l’avidità i ricchi latifondisti che vogliono possedere sempre più case e terreni” (cfr Is 5,8). “E il profeta Isaia non era comunista!”, ha chiosato Francesco.
La misericordia di Dio è però “più grande della malvagità e dei giochi sporchi fatti dagli esseri umani”, come dimostra il prosieguo della vicenda di Acab, che sollecitato dal profeta Elia, “messo davanti al suo peccato, capisce, si umilia e chiede perdono”.
“Che bello sarebbe che i potenti sfruttatori di oggi facessero lo stesso – ha affermato il Papa -. Il Signore accetta il suo pentimento; tuttavia, un innocente è stato ucciso, e la colpa commessa avrà inevitabili conseguenze. Il male compiuto infatti lascia le sue tracce dolorose, e la storia degli uomini ne porta le ferite”.
Ancora una volta, dunque, il Santo Padre ha ribadito che la misericordia è “la via maestra che deve essere perseguita”, in quanto apre il cuore degli uomini, essendo “più forte” del loro peccato, come dimostra la vicenda di Acab.
“Gesù Cristo è il vero re, ma il suo potere è completamente diverso. Il suo trono è la croce. Lui non è un re che uccide ma, al contrario, dà la vita. Il suo andare verso tutti, soprattutto i più deboli, sconfigge la solitudine e il destino di morte a cui conduce il peccato”, ha quindi concluso Francesco.