La dichiarazione congiunta firmata a L’Avana da papa Francesco e dal patriarca Kirill “è solamente una tappa il cui fulcro non sono le parole scritte e firmate, ma le mani che hanno usato l’inchiostro e che si sono strette. È dunque l’incontro stesso a costituire la pietra miliare che storicamente s’impone”.
“Come l’incontro sia stato una scommessa che comporta rischi”. “Le questioni interne tra le due Chiese – osserva l’editoriale – non sono risolte: le accuse, da parte russa, di proselitismo, il problema del cosiddetto ‘uniatismo’, lo scontro tra Russia e Ucraina non sono da sottovalutare, anche nelle loro conseguenze legate alle Chiese del luogo”. D’altra parte, “il dramma del quadrante mediorientale è stato addirittura evocato come motivazione dell’incontro cubano ed è apparso centrale nella dichiarazione”, e “sappiamo bene quanto il Cremlino svolga un ruolo da protagonista diretto in quel territorio”. Ancora, “nella dichiarazione si riconoscono i toni che Mosca usa per evidenziare la decadenza dell’Occidente, il suo declino economico e il suo declino morale. Per alcuni, essi sono troppo legati a una narrativa politica russa. In ogni caso sono temi di valore pastorale, e non politico o sociologico, come il Papa ha detto ai giornalisti volando da L’Avana a Città del Messico”.
Ma la pietra miliare è “l’incontro stesso”, voluto con “una determinazione che è andata al di là di ogni cautela”. “Ciò che deve essere considerato attentamente è il fatto che Francesco non imponga condizioni di alcun genere e, pur di stabilire l’incontro, sia disposto a tutto. Ostilità ed equivoci ci sono e ci saranno, ma alla fine cadranno se il cammino proseguirà. È questa la politica (anche ecclesiastica) della misericordia. Dunque – conclude -, l’abbraccio di Francesco è stato un abbraccio senza condizioni che ha accolto la Chiesa ortodossa russa così com’è adesso, amandola come sorella, con la sua storia complessa, difficile, e con la sua tradizione luminosa”.