“Non è possibile un matrimonio tra due uomini”. Aprendo i lavori del Congresso di Cor Unum, che si è svolto in Vaticano sul tema: “La carità non avrà mai fine: prospettive a 10 anni dall’enciclica Deus caritas est”, il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha ribadito, parlando a braccio, la posizione della Chiesa. “Questo non vuol dire mettersi nelle cose politiche”, ha precisato il cardinale, “ma chiedere ai politici di rispettare la natura umana sopra cui loro non sono i maestri”. “I politici devono servire la comunità e non imporre una falsa ideologia”, ha ammonito. La Chiesa non ha “un diretto mandato politico” e “non dovrebbe mettersi al posto dello Stato”, ma “ciò che lo Stato non può fare che invece i cristiani come individui e la Chiesa come comunità sono chiamati a compiere, è rendere la carità sperimentabile”. Di qui l’importanza della “carità organizzata”, che “non è soltanto una specie di assistenza sociale”. Guai a strumentalizzare la carità “rendendola uno strumento di proselitismo”, ma non bisogna neanche aver paura di dare “risposte di fede a quei migranti musulmani che fanno domande quando ci dicono: ‘i cristiani ci aiutano, i nostri fratelli musulmani no’”. Perché “la persona umana è una unità e non si possono scindere i bisogni materiali da quelli spirituali”.
Non c’è una “Chiesa dei giusti” e una “Chiesa dei poveri”. A lanciare il grido d’allarme è stato il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas International, che ha aperto la seconda giornata del Congresso mettendo in guardia dalla “tentazione di andare dai poveri e dai bisognosi con un atteggiamento di superiorità”. “Non tutto il dare, il servire è altruista”, ha ammonito: “quando viene da una persona presuntuosa, il dare è in insulto per chi riceve”.
No, allora, ai “modi paternalistici di occuparsi degli altri” e a quei cristiani che “si mettono dalla parte dei ricchi, dei potenti: è sempre bene per un cristiano considerarsi bisognoso di aiuto”. “Sono passati dieci anni, ma l’enciclica di Papa Benedetto resta sempre giovane, perché il suo messaggio dice l’essenza della fede cristiana”. Ne è convinto monsignor Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum. Delle “molte parole differenti per indicare l’amore” ha parlato il rabbino David Shlomo Rosen, direttore internazionale per i Rapporti interreligiosi dell’American Jewish Committee, ricordando che nella prospettiva ebraica una parola che ha “molta importanza” per indicare l’amore è “chesed”. Una parola “difficile da tradurre”, ha fatto notare il rabbino, e che può avere l’accezione di “grazia, misericordia” e talvolta “lealtà”: ha a che fare con il “Dio che perdona” descritto nella “Deus caritas est”. Nell’islam, c’è una vera e propria “enfasi” sul Dio misericordioso, mentre “l’indifferenza e lo sdegno che molti dimostrano verso l’ambiente rivelano la mancanza di compassione e l’incapacità di mostrare misericordia”, ha detto Saeed Ahmed Kahn, della Wayne State University. “La misericordia come modo di proteggere dal male è una metafora comune nell’islam”, ha proseguito, ricordando che “per i musulmani Dio è giustizia e per i cristiani Dio è amore. L’attributo comune è un Dio di amore e di giustizia: amore e giustizia sono entrambi attributi di Dio”. “Dopo il fallimento delle grandi utopie illuministe, siamo ora in un’epoca nettamente post-umanista”, dove al centro non c’è più l’uomo ma la “tecnica” o la “natura”: è la tesi di Fabrice Hadjadj, direttore dell’Istitut Philantropos, secondo il quale oggi “il pensiero della carità” è posto di fronte “non tanto a eresie della verità ma a eresie dell’amore”.