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Tagle: “Non si possono servire i poveri con un atteggiamento di superiorità”

Zenit di Luca Marcolivio

C’è uno stretto legame tra il pontificato di Benedetto XVI e quello di papa Francesco, che si può individuare nella Deus caritas est, nella misura in cui la prima enciclica ratzingeriana, fortemente si riflette nello spirito del Giubileo della Misericordia.

Lo spunto è stato fornito dall’intervento del cardinale Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis, in occasione del congresso internazionale,La carità non avrà mai fine, promosso da Pontificio Consiglio Cor Unum.

Secondo il porporato filippino, la Deus caritas est “fa luce sulla nostra situazione contemporanea” e, in qualche modo, Caritas Internationalis e altre organizzazioni sono ‘debitrici’ nei confronti di questa enciclica.

I cinque obiettivi fissati dall’assemblea generale di Caritas Internationalis lo scorso maggio, per i successivi quattro anni, del resto – ha sottolineato Tagle – richiamano in modo evidente il documento del Papa emerito.

In primo luogo viene individuata la Caritas come “cuore della Chiesa” e “servizio essenziale della Chiesa per i poveri”; quindi il suo contributo per “salvare le vite” e ridurre “l’impatto delle crisi umanitarie; c’è poi la “promozione dello sviluppo integrale sostenibile”; quarto obiettivo è la “costruzione di una solidarietà globale”; infine si punta a rendere “più efficace” la confederazione mondiale della Caritas.

Alla luce di questi spunti, il cardinale Tagle ha espresso due considerazioni, la prima delle quali evidenzia come il “servizio della carità” sia “inseparabile dalle altre due responsabilità della Chiesa, ovvero la proclamazione della Parola di Dio e la celebrazione dei sacramenti (liturgia)”.

In secondo luogo, il presidente di Caritas Internationalis ha denunciato il clima di esclusione che si respira in molte comunità cristiane che premiano soltanto “i virtuosi, il successo, i giusti”. Ciò accade, in modo particolare, “quando il servizio della carità non è ben integrato con i ministeri della Parola e con il sacramento della parrocchia”. Succede allora che la Chiesa sia “divisa”, che i “parrocchiani attivi” siano raramente coinvolti nel servizio della carità e che, viceversa, chi si occupa di beneficienza non frequenti la messa, né riceva i sacramenti.

La “competenza” e la “formazione tecnica” non vanno sicuramente ignorate, tuttavia non devono essere “contrarie alla formazione umana”. Inoltre, ha ammonito il cardinale Tagle, non si può servire i poveri mostrando un “complesso di superiorità”. Al contrario, chi lo fa deve rendersi “povero come gli altri”, perché “siamo tutti mendicanti”.

Anche per questo, ha commentato Tagle, accennando al tema dei profughi, “Dio deve essere lì, è uno di loro. Il grande Dio superiore che diventa il più inferiore per vivere con il povero, il migrante, il rifugiato”.

Non ogni servizio reso ai poveri è “altruistico”, anzi, se arriva da una persona “piena di sé” diventerà un “insulto” per chi lo riceve, ha insistito il porporato. Vi sono cristiani che si pongono “dalla parte dei ricchi e de potenti” e impongono “obblighi” ai poveri.

La carità, inoltre, non può mai essere ideologica. Al contrario, “vedere con il cuore universalizza la risposta d’amore”, ha spiegato Tagle. “L’attivismo sociale – ha aggiunto – non è sufficiente” e “quando vediamo i nostri fratelli e sorelle poveri, non possiamo fare a meno di vedere le radici della povertà, della corruzione, dell’ingiustizia e dell’avidità”.

Ogni ambito della società – Chiesa compresa – “è chiamato dall’amore a cambiare i nostri stili di vita, i nostri modelli di produzione e di consumo, e le strutture di potere che governano la società, al fine di riorientarli”, secondo una “buona comprensione del bene comune”.

Questa dinamica include le “fondamentali intuizioni” della Laudato Si’, che “gioca un ruolo chiave nei confronti della povertà”. A tal proposito il cardinale Tagle ha ritenuto “provvidenziale” avere come compatroni la beata Madre Teresa di Calcutta e il beato arcivescovo Oscar Romero, due simboli, rispettivamente, di “carità” e di “giustizia”.

L’amore, quindi, non può essere usato per ottenere “altri scopi”, a partire dal “proselitismo” o dalla “imposizione anche in modi sottili della fede di una determinata Chiesa su qualcuno”, in quanto “la purezza dell’amore di un cristiano parla di Dio per mezzo della testimonianza”.

In definitiva, ha concluso l’arcivescovo di Manila, la Deus caritas est continua ad avere “rilevanza per il servizio caritativo della Chiesa, perché i poveri saranno sempre tra noi e perché Dio è amore, amore eterno, amore incarnato, amore misericordioso, amore universale”.

Redazione: