Di fronte alle cronache, che quotidianamente riportano terribile notizie di “omicidi”, “incidenti” e “catastrofi”, non dobbiamo cedere ad atteggiamenti superstiziosi, vedendo in essi una ‘punizione divina’ ed incolpare gli uomini o addirittura Dio.
Di fronte a tali eventi, ha sottolineato papa Francesco, in occasione dell’Angelus di oggi, bisogna comportarsi come raccomandava Gesù.
Nel Vangelo di oggi (cfr Lc 13,1-5), il Signore menziona “due fatti tragici che a quel tempo avevano suscitato molto scalpore: una repressione cruenta compiuta dai soldati romani all’interno del tempio; e il crollo della torre di Siloe, a Gerusalemme, che aveva causato diciotto vittime”, ha ricordato il Santo Padre.
Gesù è consapevole della “mentalità superstiziosa” dei suoi interlocutori e del “modo sbagliato” con cui interpretavano quegli avvenimenti: essi pensano che “se quegli uomini sono morti così crudelmente, è segno che Dio li ha castigati per qualche colpa grave che avevano commesso” e che, in un certo senso, “se lo meritavano”, mentre chi era stato risparmiato poteva stare “a posto” con la coscienza.
In realtà, spiega Gesù, “Dio non permette le tragedie per punire le colpe”, anche perché “quelle povere vittime non erano affatto peggiori degli altri”. Il suo invito è a “ricavare da questi fatti dolorosi un ammonimento che riguarda tutti, perché tutti siamo peccatori”, tanto è vero che, a chi lo aveva interpellato, aveva detto: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (v. 3).
Anche a noi contemporanei, può venire la tentazione di “scaricare” la responsabilità degli eventi luttuosi o catastrofici “sulle vittime, o addirittura su Dio stesso”. Eppure il Vangelo ci suscita degli interrogativi: “che idea di Dio ci siamo fatti? Siamo proprio convinti che Dio sia così, o quella non è piuttosto una nostra proiezione, un dio fatto ‘a nostra immagine e somiglianza’?”.
Gesù ci chiama a “cambiare il cuore, a fare una radicale inversione nel cammino della nostra vita, abbandonando i compromessi con il male” e le “ipocrisie”, per “imboccare decisamente la strada del Vangelo”. Non si accontenta affatto, Dio di “brava gente” o di semplici “credenti, anche abbastanza praticanti”, che, per questo, “si credono giustificati”.
Molti di noi sono simili a “un albero che, per anni, ha dato molteplici prove della sua sterilità”, come il “fico infecondo” di cui parla il Vangelo (cfr. v.9). Eppure, in questo, Gesù mostra una “pazienza senza limiti”, offrendoci tempi di grazia e di ravvedimento come la Quaresima o l’attuale Anno Giubilare della Misericordia.
“Avete pensato, voi, alla pazienza di Dio? – ha domandato il Papa ai fedeli -. Avete pensato anche alla sua irriducibile preoccupazione per i peccatori, come dovrebbero provocarci all’impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, mai! Fino all’ultimo momento: la pazienza di Dio che ci aspetta”.
Bergoglio ha quindi citato l’aneddoto di Santa Teresa del Gesù Bambino, quando si mise a pregare per un condannato a morte, che fino all’ultimo respingeva il sacerdote per la confessione finale. Mentre Santa Teresa continuava a pregare nel suo convento quell’uomo, “proprio al momento di essere ucciso, si rivolge al sacerdote, prende il Crocifisso e lo bacia”.
Un episodio che rivela la “pazienza di Dio”, che si manifesta con chiunque di noi, che ci troviamo sempre sul punto di cadere nel peccato e Lui “ci salva” con la “sua misericordia”.
“Mai è tardi per convertirci, ma è urgente, è ora! Incominciamo oggi”, ha raccomandato il Pontefice, invocando la Vergine Maria, perché ci aiuti ad “aprire il cuore alla grazia di Dio, alla sua misericordia” e a “non giudicare mai gli altri, ma a lasciarci provocare dalle disgrazie quotidiane per fare un serio esame di coscienza e ravvederci”.