Leggi le precedenti interviste a Tiziana Marchionni, Milena Bernardini, Barbara Tomassini, Paolo Piunti, Antonio Lera, Gianni Marcantoni, Giuseppe Palestini, Genti Tavanxhiu, Giuseppe Alesiani, Carla Civardi e Tanya del Bello
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Giacomo Cagnetti nasce a San Benedetto del Tronto nel 1982.
Si diploma all’ITC Capriotti mentre porta avanti parallelamente l’attività di musicista, compositore e produttore musicale.
Da sempre appassionato di cinema e fotografia, nel 2001 entra a far parte dell’azienda di comunicazione e produzione video XMediaLive di Milano e successivamente della Mediaciak di San Benedetto del Tronto.
Successivamente nel 2011 inizia la sua attività personale di autore e regista.
Come regista ha vinto nel 2011 il primo premio nazionale su “Zooppa” con lo spot “Incubi da bolletta” realizzato per Poste Italiane, nel 2012 il primo premio internazionale su “Eyeka” per Coca-Cola (autore e regista insieme a Rovero Impiglia) con lo spot “A guitar hero”.
“A Guitar hero” nel gennaio del 2013 viene nominato come unico spot italiano tra i finalisti al “NAMM” di Los Angeles (dove ogni anno viene premiato l’utilizzo creativo della musica negli spot pubblicitari del mondo); nel 2014 , sempre insieme a Rovero Impiglia, il primo premio nazionale su “Zooppa” con lo spot “The Jump” realizzato per Gillette e nel 2015 il primo premio dalla Camera di Commercio di Milano con lo spot “Le Marche non ti abbandonano mai” realizzato per la campagna di promozione turistica della regione Marche, premiato come miglior video degli espositori alla fiera di Milano.
Nel Giugno del 2013, Giacomo viene scelto come docente dal Consorzio Universitario Piceno per tenere alcune lezioni di regia.
Nel 2014 viene scelto come autore e regista, insieme a Rovero Impiglia, dei nuovi spot istituzionali della regione Marche “Le Marche non ti abbandonano mai”: gli spot sono andati in onda sui canali RAI, Mediaset e SKY e hanno avuto come testimonial l’attore Neri Marcorè con la collaborazione di Max Pisu e Ines Nobili.
Nel 2014 viene premiato dalla Città di San Benedetto del Tronto con il “Gran Pavese Rossoblù“.
Ad Aprile 2015 è autore, sceneggiatore e regista (insieme a Rovero Impiglia) del cortometraggio “Il Profumo del Mare” realizzato per la città di San Benedetto del Tronto e portato ad Expo 2015 Milano per promuovere la città.
Nell’ottobre del 2015 è autore, sceneggiatore e regista (insieme a Rovero Impiglia) del cortometraggio “Il Dono” realizzato per la campagna pubblicitaria del Banco Alimentare Marche Onlus nell’ambito del progetto “Contro lo spreco, contro la fame”.
Perché si diventa regista? Come ti sei imbattuto in questa realtà? Chi o cosa te l’ha fatta amare?
Devo dire che da piccolo non avrei mai immaginato di poter intraprendere questa strada: ero convintissimo che sarei diventato un astronauta o un pilota di aerei…
Tralsasciando questi comuni sogni da bambino, sono sempre stato appassionato di cinema e di fotografia: mio zio è un fotografo e anche mia madre quando ero piccolo si dilettava a scattare fotografie con la reflex. Ho imparato grazie a lei a fotografare, ai tempi della pellicola e ho avuto anche un altro grande maestro che con la sua grande passione mi ha permesso di amare ancora più a fondo sia la fotografia che il cinema: il prof. Gigi Morganti, che ho avuto il piacere e la fortuna di avere come professore alle scuole medie e che mi ha trasmesso tanto, molto più di quello che potrei sottolineare a parole.
La passione per gli spot pubblicitari invece ce l’ho sempre avuta: fin da quando ero piccolo mi capitava di voler rivedere gli inserti pubblicitari che c’erano in mezzo ai film… consumavo le videocassette dei film che avevo già visto per andarmi a rivedere delle pubblicità che mi piacevano. Naturalmente lo facevo senza alcuna prospettiva registica o altro… lo facevo semplicemente perché mi piacevano.
Mi piace il linguaggio pubblicitario, mi piace il fatto di poter raccontare storie in pochi secondi e di poterle raccontare utilizzando stili narrativi differenti… stesso discorso per i videoclip musicali, dove spesso si può anche andare oltre certi limiti (non essendo condizionati da messaggi pubblicitari o da indicazioni di marketing) e liberare la propria creatività.
Non credo che tutti i registi siano artisti; come distinguere il regista che imprime all’opera un proprio segno creativo da colui che, pur avendo realizzato percorsi importanti, rimane nei canoni del “già fatto”, non riesce ad osare?
Questa è una domanda interessante. Tra l’altro io probabilmente per molti che hanno studiato non dovrei neanche potermi considerare un vero regista, visto che sono un autodidatta e che non ho fatto alcuno studio in questo senso. Io credo che l’artista sia quella persona che ha qualcosa da dire e che ha voglia di comunicarla sfruttando l’arte: che sia un pittore, uno scultore, un ballerino, un musicista (naturalmente includo in queste categorie tutte le donne, anche se sono tutti termini maschili!) ci sono moltissime correnti artistiche che si possono utilizzare e sfruttare per trasmettere le proprie idee, i propri concetti o semplicemente un proprio stato d’animo.
“L’artista è un individuo che dice una cosa difficile in modo semplice”. Mi ritrovo pienamente in questa frase di Charles Bukowski… nelle cose che faccio infatti difficilmente trasmetto concetti astrusi o complicati: mi piace trasmettere quello che voglio dire nella maniera più semplice possibile.
Il “creativo” è colui che “crea” e se riesce a creare qualcosa di bello e allo stesso tempo comunicare agli altri qualcosa di importante è anche un artista.
Il fatto che certe cose siano già state fatte non lo vedo come un grosso limite, perché si può comunicare qualcosa di nuovo sfruttando tecniche già utilizzate oppure comunicare gli stessi concetti già espressi da qualcun altro utilizzando tecniche innovative. L’importante è non creare fotocopie perché di quelle non ha bisogno nessuno.
Se dovessi spiegare in poche righe il tuo pensiero artistico ad un ragazzino, cosa gli diresti? Come trasmettere la bellezza della regia ai giovani? Quali mezzi e strategie utilizzare? Quali i vantaggi? valore formativo da perseguire?
Quando ero piccolo (e anche oggi) mi appassionavo quando vedevo gli altri che facevano determinate cose con passione e con il sorriso. Da questo primo interesse poi deriva una naturale sperimentazione: dovevo provare anche io a fare quella determinata cosa, per capire se anche io ero predisposto per accoglierla con la stessa energia e con lo stesso trasporto emotivo. Io credo che ciò che noi siamo derivi dall’esperienza che facciamo e dall’indole che ognuno di noi ha. Ci sono persone che purtroppo non hanno la possibilità di entrare a contatto con l’arte, ma ci sono altre persone che pur essendo circondate da artisti di ogni tipo non si appassionano a nulla.
L’arte in Italia non è più apprezzata e compresa come un tempo: spesso mi capita di trovarmi al cinema, o a dei concerti, in teatro… in cui le persone chiacchierano o giocano con il cellulare mentre un artista si esibisce… creando un fastidioso disturbo sia agli altri che a sé stessi: quel tempo perduto a giocare con il cellulare o a chiacchierare con il vicino non verrà mai restituito indietro e quegli attimi saranno persi per sempre. Ed è una grande perdita. Soprattutto quando la si causa agli altri, che invece vorrebbero poter ascoltare senza essere disturbati. Bisogna imparare a cogliere i momenti che ci vengono regalati perché ci aiutano a crescere e a diventare persone migliori. Persone più complesse, più ricche e più profonde.
Nei miei (pochi) viaggi all’estero ho notato tutt’altra apertura delle persone nei confronti degli artisti… e non è per generalizzare o per dire sempre che l’erba del vicino è sempre più verde: è così. All’estero c’è una cultura più elevata nei confronti dell’arte e degli artisti.
Credo che in Italia ci sia semplicemente bisogno di una educazione più sensibile sull’arte da parte di chi ha dei figli, perché attraverso l’arte si possono percorrere strade meravigliose e precludere questa gioia ai propri figli, non trasmettendo loro la giusta educazione, è davvero un grande peccato.
Il cinema nelle scuole: nuovi canali di diffusione video e nuovi linguaggi. Pensi che i ragazzi potrebbero essere interessati ed eventualmente come interessarli
Il mondo della scuola non è adatto ad alcuna attività artistica… almeno fino a ché non verrà rinnovato il sistema scolastico italiano. I professori non insegnano più nulla, vanno a scuola perché è un lavoro, non per insegnare qualcosa agli alunni. Ovviamente non è così per tutti, ma nella stragrande maggioranza dei casi quello che dico non credo sia lontano dalla realtà. E molti miei amici professori purtroppo me lo confermano.
Non c’è più rispetto nelle scuole e qualsiasi proposta di un certo livello verrebbe inevitabilmente derisa e snobbata o comunque non avrebbe modo di essere proposta nella maniera corretta.
C’è bisogno che la scuola torni ad essere severa, seria… e questo non solo per quanto riguarda l’approccio all’arte, ma per recuperare il livello culturale italiano in generale.
Bisogna tornare a dare brutti voti, sospendere, bocciare… bisogna tornare a far percepire la promozione di fine anno come una conquista nell’ambito della propria crescita personale.
Oggi i ragazzini vengono tutti promossi, sono liberi di comportarsi come credono, giocano con il cellulare durante le lezioni (cellulare? Non esisteva neanche quando andavo a scuola io… ma di sicuro i maestri e i professori che ho avuto me lo avrebbero sequestrato, come facevano con gli alunni che avessero in mano qualsiasi cosa non fosse inerente il percorso scolastico)… tutta questa approssimazione e superficialità deve finire, altrimenti l’Italia non credo avrà un futuro promettente…
Non includerei mai un percorso artistico specifico all’interno di un percorso formativo legato alla scuola, a meno che questa non si rinnovi e non torni ad avere la funzione che aveva un tempo.
Piuttosto si può sfruttare il bacino scolastico per proporre ai ragazzi di percorrere percorsi paralleli artistici da seguire fuori dalla scuola, per poter comunque portare la possibilità di conoscere l’arte a tutti quelli che hanno voglia di sperimentare nuovi linguaggi di comunicazione e soprattutto per permettergli di farlo in un ambiente adatto. E sicuramente la scuola, al giorno d’oggi, non lo è.
Le nuove frontiere del cinema: E’ stato tutto già fatto o nuove possibilità spuntano all’orizzonte? Forse, è tutto collegato al superamento del concetto di “orticello artistico” per concentrare le energie e creare sinergie.
Sicuramente molte, moltissime cose sono già state fatte. E’ difficile inventarsi qualcosa di nuovo… ma ogni tanto capita di trovarsi di fronte a qualcosa che sorprende. Penso a come hanno realizzato alcuni film come Gravity o Hugo Cabret, o alcuni film di Nolan, di Inarritu o ad alcuni video musicali come quelli degli Ok Go (per fare alcuni esempi): produzioni fantastiche che hanno saputo sfruttare determinate tecniche disponibili grazie al progresso tecnologico. Oggi è tutto possibile, grazie alla potenza di elaborazione dei computer e a professionisti che sanno padroneggiare determinate tecniche di post-produzione… ma il rischio è che quando hai troppa scelta, rischi di trovarti di fronte ad un enorme problema. Vi siete mai trovati in una gelateria di fronte a 100 gusti da scegliere? Siete sempre sicuri di cosa scegliere oppure le troppe possibilità vi mettono in difficoltà? Ci troviamo sempre provocati a sperimentare cose nuove… cose strane e particolari. E spesso quando proviamo qualcosa di nuovo ne rimaniamo delusi.
Oggi ad esempio è difficile trovare al cinema film come quelli di Hitchcock o di Fellini: certi linguaggi purtroppo sono stati abbandonati, ma io sono convinto che quel modo di fare cinema sarebbe attualissimo anche oggi. Solo che è passato di moda, così come è passato di moda scegliere un gelato cioccolato e fiordilatte…
Attualmente stai lavorando nella promozione nuove forme di espressione artistica come l’Open Mic, microfoni aperti per 15 minuti ad artisti che vogliano esibirsi. Ce ne parli?
L’Open Mic è un format che ho conosciuto durante il mio ultimo viaggio in Inghilterra, quando sono stato a trovare una mia cara amica che vive a Brighton. Lei mi portò in un pub dove c’era questo spettacolo, l’Open Mic, e ne rimasi totalmente spiazzato. Era una cosa bellissima. Artisti di ogni tipo si alternarono sul palco: cantanti, attori, cabarettisti… una serata magnifica!
Nella nostra zona purtroppo gli eventi e gli spettacoli collegati all’arte si sono ridotti di parecchio negli anni… e io stesso faccio difficoltà a decidere cosa fare e dove andare la sera.
Di certo non siamo a Roma o a Londra, ma io di artisti interessanti nella zona ne conosco moltissimi e son convinto che ce ne siano tantissimi che non ho mai avuto il piacere di conoscere.
Per cui mi sono detto: perché non portare l’Open Mic nel mio territorio? E’ un format che praticamente non esiste in Italia… forse qualcuno lo fa a Milano, Roma o Bologna, ma di sicuro non è un format diffuso e conosciuto… figuriamoci a San Benedetto…
Così, grazie al supporto fondamentale di Lino Rosetti del Cocalo’s Club che mi ha appoggiato nell’iniziativa, siamo riusciti a portare alla luce l’Open Mic anche nella Riviera delle Palme.
Cos’è l’Open Mic?
L’Open Mic è una serata in cui gli artisti si esibiscono per massimo 15 minuti, proponendo la loro arte ed esprimendosi liberamente.
E’ come un salotto di casa in cui vengono invitati tanti amici: uno tira fuori la chitarra, l’altro recita un monologo… si passa una serata in un ambiente piacevole e immerso in un ambiente particolare. Sicuramente differente dal solito.
Alcuni artisti a cui ho rivolto l’invito a partecipare hanno storto un po’ il naso… “ma i soldi? Io lo faccio per lavoro, non mi esibisco gratis…”.
Ma qui non si tratta di lavoro! Non è la classica serata in cui si viene ingaggiati da un locale… l’Open Mic è un’opportunità di passare una serata in modo diverso che prima non c’era.
E lo è sia per gli artisti, sia per il pubblico.
E’ un’opportunità di essere presenti con la propria arte e farsi applaudire, piuttosto che stare a casa a guardare la tv o ad annoiarsi chissà dove.
E’ un’opportunità sia per gli artisti che vogliono farsi conoscere, sia per i professionisti che vogliono sperimentare cose nuove o trascorrere una serata in cui non si pensa ai soldi, ma solo alla propria arte e al desiderio di esprimersi e di comunicare.
Ottenere un pagamento per i 15 minuti di prestazione artistica non è lo spirito con cui nasce questa iniziativa: se io ti invito a casa mia insieme ad altri amici per passare una serata insieme e ti chiedo di portare la chitarra, non credo che avresti il coraggio di chiedermi di essere pagato…
Ed è proprio questa l’idea di base che c’è dietro questo mio progetto: creare un salotto di amici in cui si vede, si ascolta e si respira l’arte.
Un salotto in cui si possono condividere momenti che possono spaziare tra tantissime cose diverse e soprattutto restandone ogni volta stupiti (dato che non pubblichiamo mai in anticipo i nomi degli artisti presenti alle serate).
Nelle serate passate ci sono stati artisti di ogni tipo: musicisti, cantanti, gruppi musicali, attori, prestigiatori, intrattenitori, poeti, fotografi, pittori… e chissà quanti ne arriveranno nelle prossime serate.
Molti di loro non li conoscevo: con tutti è nata una bella amicizia e sono anche felicissimo del fatto che alcuni di loro hanno anche trovato dei possibili futuri ingaggi lavorativi grazie alle serate Open Mic.
Per chi vuole tenersi in contatto può farlo seguendo la nostra pagina Facebook “Open Mic” (tramite la quale si possono mandare anche messaggi privati) o mandando una email a openmicbycocalosclub@gmail.com.
Per gli artisti che vogliono partecipare, oltre alle modalità che ho scritto sopra, possono contattarmi anche tramite il mio profilo personale Facebook o contattandomi direttamente al 348/9132810.
Ricordo le prossime serate Open Mic: il 3 Marzo, al Kabina Welcome di San Benedetto del Tronto e il 10 Marzo, al Caffè Meletti di Ascoli Piceno.
Pur avendo inziato da pochissimo, l’Open Mic rappresenta già un punto fermo dell’espressione artistica e creativa locale. Quale esperienza artistica e professionale hai maturato?
Per me è un’esperienza nuova, perché non mi ero mai cimentato nell’organizzazione di serate o di eventi simili.
Le tre serate che abbiamo fatto sono state meravigliose per aspetti diversi… e la cosa più bella è stata vedere l’approccio che gli artisti hanno avuto nei confronti del progetto, soprattutto quelli già affermati e noti nel territorio.
Il fatto che non sia una serata pagata, la rende diversa da tutte le altre: gli artisti sanno che sono lì per passare una serata diversa, in cui possono esprimersi senza particolari preoccupazioni… proprio come se fossero nel salotto di casa di un amico, e questo rende l’esperienza particolarmente magica.
E’ chiaro che poi che a monte non c’è una mia selezione qualitativa, altrimenti non si chiamerebbe “Open Mic” si pronuncia “Open Maic” dato che in inglese è il diminutivo di Microphone e tradotto significa “Microfono aperto”)… per cui nelle serate può capitare sia il professionista sia l’artista emergente che deve ancora perfezionarsi e ha bisogno di supporto e incoraggiamento… e questa incredibile varietà di possibili variabili è uno dei punti di forza dell’Open Mic.
Per le serate di Open Mic ho stabilito delle regole, che poi sono solo dei consigli da seguire: spegnere il cellulare, non chiacchierare, applaudire gli artisti… sono alcuni dei suggerimenti che dò al pubblico per far sì che l’esperienza sia vissuta nel migliore dei modi.
Inoltre in ogni serata consegniamo a tutti i presenti in sala dei block notes e delle penne, grazie ai quali possono scrivere dei messaggi anonimamente e che vengono poi inseriti in una scatola: alcuni di questi messaggi vengono letti durante la serata, gli altri vengono poi pubblicati nella nostra pagina Facebook.
I messaggi scritti dal pubblico durante le serate passate sono meravigliosi, alcuni sono commoventi… e dimostrano in maniera palese (e di questo sono davvero felicissimo) quanto il pubblico sambenedettese avesse voglia di una bella novità come questa.
Il fatto che anche il pubblico possa diventare protagonista delle serate e sentirsi direttamente coinvolto è un altro dei punti di forza del progetto…
Nel fare arte nel territorio, la creatività muore o si rinnova? I “silenzi” della provincia rappresentano un limite o uno stimolo? Frustrazione o rilancio dell immaginazione? La nostra provincia è un guscio vuoto o laboratorio di talenti da scoprire?
Io credo che la nostra zona sia un posto meraviglioso, sia per vivere, che per lavorare, che per seguire un percorso artistico. Se in questo territorio ha sfornato in passato artisti grandiosi (penso a Leopardi, Raffaello, Rossini) qualche motivo ci sarà… per cui trovo che se uno ha voglia di esprimersi e di dire qualcosa non può che essere favorito da una zona territoriale così ricca e bella.
Sicuramente manca un po’ il confronto con quel fermento artistico che si può trovare a Roma o a Londra… ma internet fortunatamente è un grande mezzo che abbiamo a disposizione e che dobbiamo imparare a sfruttare al massimo: riduce le distanze e permette di tenersi aggiornati e di mantenere connessioni e contatti con artisti di tutto il mondo.
Certo che per chi ha la possibilità di fare qualche piccolo viaggio ogni tanto una visita alla vicina Roma o a qualche città europea potrebbe aprire ulteriormente la mente e permettere nuove conoscenze umane e personali, soprattutto in ambito artistico…
La soddisfazione piu’ bella che hai raggiunto od ottenuto attraverso il cinema; le testimonianze piu’ belle di cui ci vuoi parlare
La soddisfazione più bella che ho avuto finora è stata realizzare “Il Profumo del Mare – Una storia sambenedettese”, il cortometraggio che ho scritto e diretto insieme al mio amico e collega Rovero Impiglia e che abbiamo portato alla fiera Expo 2015, a Milano. Tutt’ora mi capita di ricevere apprezzamenti da parte di persone che hanno visto il cortometraggio… ed è una cosa bellissima sapere di essere riusciti nell’intento di risvegliare alcuni aspetti importanti nell’anima dei cittadini della nostra città.
Nel nostro piccolo cortometraggio, abbiamo raccontato non solo il piatto più importante della nostra città (il brodetto alla sambenedettese, attorno alla cui preparazione ruota tutta la narrazione), ma abbiamo riportato alla luce storie e tradizioni che accomunano moltissime delle nostre famiglie.
E’ stato un lavoro molto impegnativo che è durato tre mesi… che ha coinvolto molti sambenedettesi (selezionati attraverso un casting pubblico aperto a tutti), sia per quanto riguarda i ruoli da interpretare, sia per quanto riguarda la troupe di produzione che abbiamo messo su.
Realizzare ricostruzioni storiche di un’epoca passata, unire in pochi minuti generazioni molto lontane attraverso le testimonianze degli anziani del posto, trasmettere valori ed emozioni ai bambini (che si sono gentilmente prestati ad interpretare delle piccole parti)… non riesco a spiegare a parole quante emozioni ho vissuto durante quel periodo… sono stati momenti che non dimenticherò mai.
Arte e spiritualità, misticismo, religiosità, silenzi interiori, dialogo con se stessi o con un qualcosa di universale: traspaiono nei tuoi lavori? Nel cinema hanno un senso? Un futuro?
Io credo che nei miei lavori possano ritrovarsi molte caratteristiche del mio modo di essere e chi mi conosce se ne accorge sempre.
Io dico sempre che quando si ha qualcosa da dire e si ha anche la possibilità di farlo attraverso un mezzo, si ha anche una responsabilità, perché non tutti hanno la fortuna di avere questo privilegio.
Sotto questo punto di vista ho trovato in maniera naturale un punto di incontro con Rovero Impiglia, un grande amico e professionista con cui già da qualche anno lavoro abitualmente e con il quale ho ottenuto grandi soddisfazioni sotto molti punti di vista.
Credo che sia importante riuscire ad essere sé stessi, sempre e comunque, e provare sempre a trasmettere qualcosa… che lo si faccia a parole o utilizzando una qualsiasi forma d’arte.
Dare qualcosa di noi agli altri è la cosa più bella che si possa fare!
0 commenti