Sono le 17.39 quando Papa Francesco, spogliatosi della casula viola, si dirige verso il lato sinistro di San Pietro dove sono disposti i confessionali. Dentro ci sono i diversi sacerdoti pronti a confessare i fedeli della diocesi di Roma venuti in Basilica per l’iniziativa “24 Ore per il Signore”. Come ogni anno Francesco presiede una liturgia penitenziale che precede la IV Quaresima (in quella dell’anno scorso annunziò il Giubileo). E come ogni anno, prima di confessare, si mette in ginocchio per confessarsi lui stesso. Un momento tanto naturale quanto, ogni volta, toccante da vivere e vedere.
Toccante è pure l’omelia che il Pontefice ha rivolto ieri ai numerosi fedeli presenti in Basilica, che esorta: “Riconosciamo di essere tutti mendicanti dell’amore di Dio, e non lasciamoci sfuggire il Signore che passa”. Francesco commenta il Vangelo di Bartimeo, il cieco nato e la sua incessante richiesta al Signore: «Che io veda di nuovo». La stessa supplica che oggi tutti noi vogliamo e dobbiamo rivolgere a Dio, “dopo che i nostri peccati ci hanno fatto perdere di vista il bene e ci hanno distolto dalla bellezza della nostra chiamata, facendoci invece errare lontano dalla meta”.
“Ognuno di noi si trova nella situazione di Bartimeo”, afferma il Papa, “la sua cecità lo aveva portato alla povertà e a vivere ai margini della città, dipendendo dagli altri in tutto. Anche il peccato ha questo effetto: ci impoverisce e ci isola”. Quella di cui parla il Santo Padre è infatti “una cecità dello spirito, che impedisce di vedere l’essenziale, di fissare lo sguardo sull’amore che dà la vita; e conduce poco alla volta a soffermarsi su ciò che è superficiale, fino a rendere insensibili agli altri e al bene”.
“Quante tentazioni hanno la forza di annebbiare la vista del cuore e di renderlo miope!”, esclama Bergoglio, e “quanto è facile e sbagliato credere che la vita dipenda da quello che si ha, dal successo o dall’ammirazione che si riceve; che l’economia sia fatta solo di profitto e di consumo; che le proprie voglie individuali debbano prevalere sulla responsabilità sociale!”. “Guardando solo al nostro io”, infatti, “diventiamo ciechi, spenti e ripiegati su noi stessi, privi di gioia e privi di libertà”.
Ma Gesù passa; “passa e non va oltre”, ricorda il Papa. “Si fermò”, si legge nel Vangelo. “Allora un fremito attraversa il cuore”, perché “ci si accorge di essere guardati dalla Luce”. “La presenza vicina di Gesù fa sentire che lontani da Lui ci manca qualcosa di importante”, aggiunge Francesco, “ci fa sentire bisognosi di salvezza, e questo è l’inizio della guarigione del cuore”. Che prosegue e si sublima “quando il desiderio di essere guariti si fa audace, conduce alla preghiera, a gridare con forza e insistenza aiuto”.
Cosa che non sempre accade. “C’è sempre qualcuno che non vuole fermarsi”, annota Papa Bergoglio; qualcuno “che non vuole essere disturbato da chi grida il proprio dolore, preferendo far tacere e rimproverare il povero che dà fastidio”. È “la tentazione di andare avanti come se nulla fosse, ma in questo modo si rimane distanti dal Signore e si tengono lontani da Gesù anche gli altri”.
Invece non dobbiamo aver “paura” del Signore che passa. Soprattutto durante questo Giubileo della Misericordia che – ricorda il Pontefice – “è tempo favorevole per accogliere la presenza di Dio, per sperimentare il suo amore e ritornare a Lui con tutto il cuore”. Come Bartimeo che getta via il mantello, noi “buttiamo via quello che ci impedisce di essere spediti nel cammino verso di Lui, senza paura di lasciare ciò che ci dà sicurezza e a cui siamo attaccati”.
“Non rimaniamo seduti, rialziamoci – esorta allora il Santo Padre – ritroviamo la nostra statura spirituale, in piedi, la dignità di figli amati che stanno davanti al Signore per essere da Lui guardati negli occhi, perdonati e ricreati”. Oggi più che mai, soggiunge, “soprattutto noi Pastori siamo anche chiamati ad ascoltare il grido, forse nascosto, di quanti desiderano incontrare il Signore. Siamo tenuti a rivedere quei comportamenti che a volte non aiutano gli altri ad avvicinarsi a Gesù; gli orari e i programmi che non incontrano i reali bisogni di quanti si potrebbero accostare al confessionale; le regole umane, se valgono più del desiderio di perdono; le nostre rigidità che potrebbero tenere lontano dalla tenerezza di Dio”.
Certo, “non dobbiamo sminuire le esigenze del Vangelo, ma – ammonisce Bergoglio – non possiamo rischiare di rendere vano il desiderio del peccatore di riconciliarsi con il Padre”. Il nostro è proprio “il ministero dell’accompagnamento, perché l’incontro con il Signore sia personale, intimo, e il cuore si possa aprire sinceramente e senza timore al Salvatore”.
“Non dimentichiamo – dice il Papa – è solo Dio che agisce in ogni persona. Nel Vangelo è Lui che si ferma e chiede del cieco; è Lui a ordinare che glielo portino; è Lui che lo ascolta e lo guarisce. Noi siamo stati scelti – noi pastori – per suscitare il desiderio della conversione, per essere strumenti che facilitano l’incontro, per tendere la mano e assolvere, rendendo visibile e operante la sua misericordia”.
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