Dio, scrive San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, «ci ha riconciliati con sé mediante Cristo […] non imputando agli uomini le loro colpe…».
Chi è questo Dio che ci ha riconciliati e continuamente ci riconcilia a sé, se non il Padre che, come leggiamo nella parabola che ci presenta il Vangelo, corre incontro al figlio minore che torna a casa dopo aver sperperato ogni bene? Quel Padre che non verifica la consistenza e la bontà del pentimento del figlio e non indaga sulle ragioni del suo ritorno, ma ne «ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò»?
Un Dio “esagerato” e “eccessivo”! Non basta, infatti, questa sovrabbondanza di gesti carichi di amore, addirittura “rincara la dose”: il vestito più bello, l’anello al dito, i sandali ai piedi, il vitello grasso, la festa!
No! Non c’è il bravo figlio che ha capito, ha cambiato strada, si è ravveduto ed ora, per questo, è riaccolto a casa e festeggiato. No! C’è un Dio, invece, che ama la libertà dei figli, la provoca, la attende, la festeggia, la patisce…e che, di tutto questo e dell’uso che noi figli possiamo farne, non rinfaccia nulla…Lui abbraccia…ci travolge con il suo abbraccio!
Un Padre che esce ancora, abbandona la festa per il figlio appena tornato per andare incontro al figlio maggiore: un figlio che, secondo il proprio pensiero, ha accumulato tanti meriti agli occhi del Padre/padrone con il suo lavoro, la sua prestazione, la sua obbedienza. Un uomo che scopre ora che è stato “tutto inutile” perché il Padre, e non il padrone, con i suoi figli, non può usare la logica della giustizia che deve retribuire chi ne è degno e se lo merita…e nessun altro!
Secondo questi criteri, Dio non avrebbe mai concesso al popolo di Israele, che nei quarant’anni di cammino nel deserto non ha fatto altro che mormorare e tradire la sua fiducia, di prendere dimora nella terra promessa. Invece, leggiamo nella prima lettura, «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». Ovvero, oggi, avviene il passaggio dall’essere popolo che ha vissuto la lontananza da Dio all’essere popolo di figli che ritrova Dio come sua dimora, dal popolo che ha camminato “nomade” tanti anni nel deserto al popolo che prende stabile dimora in Canaan, dal popolo che ha mangiato la manna al popolo che gusta i prodotti della terra dell’alleanza.
«Le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove». E’ questo il messaggio di cui siamo chiamati ad essere ambasciatori: l’esperienza della misericordia di un Padre che precede ogni nostra azione e intenzione, una misericordia che cura, sana, ristabilisce, dona la grazia per un nuovo inizio.
E’ questo il Dio di cui possiamo cantare, come il salmista, «Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni paura mi ha liberato […]. Questo povero grida e il Signore lo ascolta: lo salva da tutte le sue angosce».