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Sacerdoti e i religiosi possono attraversare periodi di difficoltà psicologica

Di Riccardo Benotti

“Malati speciali”. È la considerazione che accompagna i sacerdoti e i religiosi alle prese con difficoltà psicologiche. Un preconcetto spesso diffuso tra le persone, che guardano al prete come a una figura imperturbabile e refrattaria a ogni forma di disagio, ma anche tra i formatori e tra chi, all’interno della comunità, ha la responsabilità di selezionare prima i candidati al sacerdozio e di accompagnarli poi nel percorso di crescita. “Se una persona è malata o la si cura o si finisce in un terreno scivoloso, che porta a occuparsi di lei fino a un certo punto o a fare finta che il disagio non esista. Si aspetta l’intervento divino, ma per guarire bisogna rimboccarsi le maniche”. PadreGiuseppe Crea, psicologo e psicoterapeuta, è risoluto:

“La psicologia non fa differenza tra chi è malato e chi è sano. Benessere e malessere fanno parte della vita”.

Padre Crea è un missionario comboniano con esperienza decennale nel campo della cura del disagio psichico nella vita religiosa e sacerdotale. Autore di numerose pubblicazioni, ha recentemente dato alle stampe il volume “Tonache ferite” per le Edizioni Dehoniane: “La Chiesa ha le strutture per garantire la prevenzione e l’accompagnamento delle persone in difficoltà. Le comunità sono luogo eletto di formazione. Non bisogna dimenticarlo, soprattutto quando i confratelli stanno male”.

Relazioni e comunità. Quanti sono i consacrati in difficoltà? Qual è l’incidenza rispetto alla popolazione? “Le percentuali sono minime: la stragrande maggioranza di sacerdoti e religiosi non rientra in queste dinamiche disfunzionali”, osserva padre Crea. Alcune forme di disagio, però, sono caratteristiche della vita religiosa: “Soprattutto quelle a livello relazionale. Gli affetti sbilanciati portano a essere troppo centrati su se stessi o sugli altri. I religiosi possono faticare a riconoscere la propria identità. La capacità di una sana dedizione agli altri – precisa padre Crea -, permette invece di ricaricarsi ed essere equilibrati nella comunità”. D’altra parte, le cattive modalità relazionali verso l’esterno si ripercuotono anche all’interno della comunità:

“Talvolta si può cadere in una dipendenza dagli altri membri o in manifestazioni di grande aggressività. Quel che non si trova dentro, lo si va a cercare fuori. E viceversa”.

Questo vale anche per i sacerdoti diocesani, che se sperimentano difficoltà nel presbiterio possono isolarsi e soffrire la vita pastorale.

Selezione dei seminaristi e direzione spirituale. “Occhi aperti sulla missione nei seminari. Occhi aperti”. È l’appello lanciato da Papa Francesco che, rivolgendosi alla Congregazione per il Clero, ha invitato a prestare attenzione nella selezione dei giovani che vogliono diventare preti. Il rischio, infatti, è che la carenza di vocazioni porti ad abbassare il livello di guardia. “Più che di un rischio, parlerei di un dato di realtà. La mancanza di persone con cui discernere, alimenta l’incertezza. Se i candidati sono pochi – sottolinea padre Crea -, prima di dire no a una persona ci si pensa centinaia di volte”. Talvolta, poi, la cura del malessere psicologico non è affidata a un esperto del settore ma demandata al direttore spirituale: “Quante volte ho sentito dire: ‘Speriamo che Dio intervenga, speriamo che possa stringere i denti e andare avanti…’. Così si rimanda soltanto l’escalation. Le categorie spiritualizzanti fanno parte della malattia e sono talmente insidiose che possono apparire una risorsa salvifica, nascondendo il malessere che invece provocano nell’individuo e nell’istituzione”. Per padre Crea, “spiritualizzare il problema significa dilazionarlo nel tempo. Nelle nostre comunità siamo pieni di queste situazioni. La direzione spirituale è fondamentale ma dobbiamo essere vigili perché non diventi l’espediente per spostare l’attenzione altrove”.

Pedofilia: dentro o fuori? Gli abusi sui minori compiuti da sacerdoti e religiosi portano a scelte decise anche nell’ambito della cura psicologica:

“Queste persone sono un pericolo sociale, dunque la Chiesa non può esimersi dal compiere i passi necessari”.

Dentro o fuori la Chiesa? “Il vescovo – spiega padre Crea – continua a essere capace di discernere quale sia la volontà di Dio. Non è soltanto questione di mannaia, ma di intravedere il progetto di salvezza per un individuo profondamente malato. Molte volte queste persone si sono rifugiate nella Chiesa. Capire che se ne devono andare, significa rispondere al progetto di Dio. La Chiesa continua a essere madre, anche quando decide che non c’è più posto per loro”.

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