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Come valutare i 115 milioni di voucher “spesi” in Italia: una benedizione o un fallimento?

Di Luigi Crimella

C’è di che essere preoccupati se 1,7 milioni di italiani lo scorso anno hanno svolto attività lavorative saltuarie, ottenendo come pagamento delle loro prestazioni la bellezza di 115 milioni di voucher, i “buoni lavoro” dell’Inps che valgono ciascuno 10 euro lordi? I numeri sembrano roboanti, e hanno suscitato interesse e anche una certa preoccupazione perché, rispetto all’anno 2014, il loro utilizzo è aumentato del 67,5%. Guarda caso il milione e 700mila utilizzatori si avvicina al totale dei disoccupati italiani, che sono oltre 2 milioni, tra i quali, specie al Sud, moltissimi giovani sotto i 25 anni. Per capire cosa pesino davvero i voucher nell’economia nazionale, basta suddividere il loro numero totale per i percettori. Si ottiene che ciascuno di loro mediamente ha totalizzato 67 voucher, per un guadagno netto di poco più di 500 euro su base annua. Sul piano teorico, se le stesse ore fossero state fatte da lavoratori a tempo pieno si è calcolato che equivarrebbero a 57mila nuovi posti di lavoro. Nella realtà si tratta dell’equivalente del lavoro di un mese, o poco più, in modalità appunto saltuaria.

Da un lato c’è chi sostiene che siano una benedizione: consentono di dare una certa regolarizzazione a lavori occasionali o non continuativi, come giardinaggio, baby sitter, servizi turistici, agricoltura e cosi via.

Con il compenso di 7,5 euro nette l’ora e il resto regolarmente versato in tasse e contributi pensionistici, lo Stato è in grado di seguire l’evoluzione dell’occupazione nazionale con una fotografia più nitida. Ma ci sono, dall’altra parte,

gli oppositori: per loro i voucher sono una specie di cortina fumogena

per diverse ragioni. Una è che il loro limite annuo di utilizzo è stato elevato dal governo Renzi a 7mila euro netti l’anno per ogni lavoratore, per un massimo di 2mila euro netti “spendibili” da ciascun singolo datore di lavoro. Così le persone non vengono più assunte, ma lasciate nel precariato. Si argomenta poi che gli imprenditori più disonesti possano acquistare tali voucher in tabaccheria, li pagano 10 euro ciascuno e se li tengono nel cassetto, non dovendo indicare la data della prestazione effettuata. Se malauguratamente si presentasse la guardia di finanza, ecco che l’imprenditore è in grado di sfoderare i voucher e pagare i lavoratori in quel momento presenti, e il gioco è fatto. Il “nero” scompare, e tutti vissero felici e contenti…

Verso un “caporalato cartaceo”. Come stanno in realtà le cose? Questi voucher sono davvero una benedizione, perché consentono una “flessibilità” regolarizzata, o viceversa sono una maledizione, in quanto fissano un precariato sottopagato e senza diritti? Ecco il parere di alcuni addetti ai lavori. La segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, ad esempio, è categorica nel giudizio: “I voucher – dichiara – sono stati concepiti come uno strumento utile per il lavoro saltuario, anche per far emergere il ‘nero’ grazie alla praticità del loro utilizzo. Purtroppo, però, l’utilizzo straordinario che ne è stato fatto, visto che nel giro di un anno sono più che raddoppiati, anzi quasi triplicati, ci porta a dire che soprattutto in alcuni settori se ne sta facendo un uso del tutto improprio: penso a edilizia e agricoltura. E’ legittimo pensare che in certi casi i voucher non coprano lavoro saltuario, ma vero e proprio lavoro continuativo che viene così mascherato”. Secondo Furlan, “è evidente che dovremo trovare degli strumenti per una verifica puntuale che ciò non avvenga, perché è sbagliato. C’è un bisogno urgente e direi estremo di correttivi, che si dimostrino in grado di riportare l’uso dei voucher allo scopo originario per cui furono pensati, cioè di uno strumento agile e regolare di gestione dei bisogni lavorativi occasionali”. Dalla Fai-Cisl, la federazione dei braccianti agricoli, Luigi Sbarraafferma che “va scongiurata un’ulteriore estensione dei voucher, l’abuso dei quali in agricoltura configura una vera e propria forma di ‘caporalato cartaceo’ che destruttura il sistema della contrattazione e dei suoi diritti”. Infatti spariscono le tutele principali dei lavoratori, quali il diritto a pensione, all’assistenza, al Tfr, alla malattia, agli ammortizzatori sociali.

Sintomo di un lavoro che si fa sempre più povero . Anche Carlo Costalli, presidente di Mcl, esprime un parere cautamente favorevole, seppure con alcuni distinguo: “Se usufruiti in modo corretto – dice – soprattutto in alcune aree del Paese e in alcune stagioni, sono un modo per far emergere il ‘sommerso’.

Non costituiscono certo la soluzione per la disoccupazione giovanile, ma ad esempio in agricoltura è meglio puntare a 7,5 euro regolari che ai 2 o 3 euro irregolari di cui si sente parlare.

Del resto, è noto che in alcuni comparti agricoli o del turismo ci sia un sommerso davvero molto diffuso. Quindi, specie per i lavoratori stranieri stagionali, ben vengano i voucher, ma pur sempre stando attenti ad eventuali abusi”. Il presidente nazionale delle Acli, Gianni Bottalico, introduce nella riflessione un altro elemento: oltre a concordare sul fatto che “la loro diffusione può venire incontro a situazioni di lavoro stagionale o discontinuo. Basta che si applichino con buonsenso – dice – perché non succeda come all’agricoltore di Asti che per la vendemmia aveva invitato alcuni suoi amici pensionati ed è stato sanzionato per questo.

L’aspetto meno convincente non è il voucher in sè – afferma – ma il contesto delle politiche di austerità in cui si inserisce questo strumento: con tali politiche gli imprenditori devono fare i salti mortali per essere competiviti, e i voucher divengono un sintomo di un lavoro che si fa sempre più povero.

Essi rappresentano quindi un’altra spia che con l’austerità non c’è una vera prospettiva di ripresa. Quindi compito del mondo politico è di rivedere i trattati europei e pensare a un’altra Europa che si orienti allo sviluppo”.

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