“La vera differenza non è tra cristiani, musulmani o ebrei, la vera differenza non è tra chi crede o chi dice di non credere. La vera differenza è tra chi si ferma e chi non si ferma davanti alle ferite, tra chi si ferma e chi tira dritto. (…) Se io ho passato un’ora soltanto ad addossarmi il dolore di una persona, lo conosco di più, sono più sapiente di chi ha letto tutti i libri. Sono sapiente della vita”. È la riflessione di padre Ermes Ronchi nel quinto giorno degli esercizi spirituali a Papa Francesco e alla Curia romana, in corso ad Ariccia. Il teologo parte dall’immagine evangelica delle donne che, la domenica, vanno al sepolcro e trovano la pietra rotolata via. La Maddalena è angosciata, ma la ferma una voce: “Donna chi cerchi? Perché piangi?”. Gesù è risorto, osserva il predicatore, “è il Dio della vita” e si “interessa delle lacrime” della Maddalena. “Nell’ultima ora del venerdì, sulla Croce si era occupato del dolore e dell’angoscia di un ladro, nella prima ora della Pasqua si occupa del dolore e dell’amore di Maria”. Perché, sottolinea padre Ronchi, è questo lo stile di “Gesù, l’uomo degli incontri”: non “cerca mai il peccato di una persona, ma si posa sempre sulla sofferenza e sul bisogno”. “Come fare per vedere, capire, toccare e lasciarsi toccare dalle lacrime” degli altri? Questo l’interrogativo che pone il predicatore, dando risposta con i tre verbi della parabola del buon samaritano. “Vedere, fermarsi, toccare, tre verbi da non dimenticare mai”.
“La fame ha un perché, i migranti hanno dietro montagne di perché, i tumori della terra dei fuochi hanno un perché. Interrogarsi sulle cause è da discepoli. Essere presenza là dove si piange (…) e poi cercare insieme come giungere alle radici del male e strapparle”. “Se vedo – osserva p. Ronchi – mi fermo e tocco. Se asciugo una lacrima, io lo so, non cambio il mondo, non cambio le strutture dell’iniquità, ma ho inoculato l’idea che la fame non è invincibile, che le lacrime degli altri hanno dei diritti su ciascuno e su di me, che io non abbandono alla deriva chi ha bisogno, che tu non sei gettato via, che la condivisione è la forma più propria dell’umano. (…) Perché la misericordia è tutto ciò che è essenziale alla vita dell’uomo. La misericordia è un fatto di grembo e di mani. E Dio perdona così: non con un documento, con le mani, un tocco, una carezza”.