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Don Repole (Ati): “Il credente non è esente dalla paura, ma la affronta sulla base della risurrezione di Cristo”

Di Giliola Alfaro

La fede ci aiuta ad affrontare in modo diverso eventi drammatici come gli attentati di Bruxelles? E di fronte a tante morti innocenti qual è il modo migliore per reagire? È sbagliato chiedere a Dio il perché di tanto male? A rispondere alle nostre domande è donRoberto Repole, presidente dell’Associazione teologica italiana(Ati).

Alla luce della risurrezione. “Il credente non è esente dalla paura – spiega -. La fede non ci toglie la dimensione umana della vita. Proprio in questa Settimana Santa gli stessi Vangeli mostrano Gesù in agonia nel momento di affrontare la sofferenza, la passione e la morte. In qualche modo, il credente partecipa di questa stessa agonia.Il credente può, però, affrontare la paura sulla base della risurrezione di Cristo.La fede non ci dice che le cose andranno secondo le nostre aspettative, i nostri bisogni o i nostri desideri umani, ma ci fa vedere che anche laddove noi siamo soggetti alla fragilità e pure alla sconfitta, in qualche modo siamo in attesa che Dio compia per noi ciò che ha compiuto per Gesù Cristo”.

In questo senso, “noi poniamo anche i sentimenti che suscitano eventi come quelli avvenuti a Bruxelles martedì 22 marzo al cospetto di Dio e nella luce della speranza che ci viene dalla risurrezione di Gesù”.

Dio dove sei? Di fronte alla morte di innocenti, ritorna sempre la tentazione di chiedersi: “Dio dove sei?” oppure “Dio perché non hai fermato la mano degli assassini?” o ancora “Perché Signore permetti tutto questo?”. “Non è solo una tentazione – evidenzia don Repole -. Leggendo i Salmi, nell’Antico Testamento, la preghiera è intrisa di queste domande. Qualcuno ha detto anche che, per certi aspetti, la fede cristiana non ha semplicemente una risposta in più, ma forse ha una domanda in più, ma la mantiene viva al cospetto di Dio, nella fiducia e nell’abbandono che deriva dalla certezza, appunto, che ciò che Dio ha operato in Cristo lo opererà per tutti noi”. Perciò,

“questa domanda non significa sconfessione dell’esistenza di Dio, ma, al contrario, è una domanda posta davanti a Dio al quale crediamo e nel quale confidiamo”.

Distinguere i peccati dal peccatore. Se resta la fiducia in Dio, c’è, comunque, il rischio che anche il cuore del credente possa essere avvelenato dall’odio verso chi compie atti di violenza. “Al credente dovrebbe essere chiaro che l’umano vero, autentico, è quello che vediamo in Gesù, quindi deve reagire a eventi anche luttuosi e tragici conformandosi a Gesù e al modo con cui Gesù ha risposto alla violenza e al male – chiarisce il presidente dell’Ati -, da una parte, vedendo e denunciando il male, dall’altra non reagendo con la stessa moneta. Credo che questo vada conservato nel cuore dei credenti per non far crescere l’odio e il risentimento”. Non a caso, il Papa, nell’Udienza di mercoledì 23 marzo, ha rivolto “un appello a tutte le persone di buona volontà per unirsi nell’unanime condanna di questi crudeli abomini che stanno causando solo morte, terrore o orrore” e al tempo stesso ha chiesto “di perseverare nella preghiera e nel chiedere al Signore, in questa Settimana Santa, di confortare i cuori afflitti e di convertire i cuori di queste persone accecate dal fondamentalismo crudele”.“Il fatto di essere credenti nel Dio della misericordia – commenta don Repole – non ci esime dal vedere che il male è male o che il peccato è peccato, ma, come ha fatto il Papa, si può chiedere a Dio di convertire i cuori perché distinguiamo i peccati dai peccatori”.

Mai soli nella prova. Papa Francesco, sempre nell’Udienza, ha ricordato che “il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore che ci dona la certezza che non saremo mai abbandonati nelle prove della vita”. “Ciò che viviamo nella Pasqua è Gesù che attraversa in una profonda solitudine il dolore, l’ingiusta condanna, il male che si accanisce su di Lui – sottolinea don Repole -.Partecipando della Sua vita come credenti sappiamo che possiamo affrontare le situazioni di sofferenza, di ingiustizia e di violenza subita nella compagnia di Cristo.Mi colpisce, ad esempio, che in una preghiera tradizionale come l’Ave Maria noi chiediamo la sua preghiera adesso e nell’ora della nostra morte, proprio perché mai si spezzi questa comunione con Cristo”.

Un segno importante. Giovedì Santo Papa Francesco celebrerà la Messa in Coena Domini nel centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, dove laverà i piedi a dodici profughi. “In un contesto come quello di oggi in cui si accusano le religioni di essere violente – osserva il teologo -, quello del Papa è un segno importante per manifestare che la violenza non ha niente a che fare con le religioni, quando esse sono nei loro aspetti più belli, ma con la perversione di ciò che è religioso, che comporta sempre, in qualche modo, che noi facciamo diventare Dio una cosa.

Questo gesto del Papa ci dice come noi dobbiamo rimanere alleati con gli aspetti più belli della fede anche dei nostri fratelli musulmani”.

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