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Io sono uno di quei bambini che hanno fatto solo disegni

Passata la Pasqua, ho riletto l’articolo pubblicato sul settimanale diocesano online lo scorso 17 Marzo dal titolo “L’analfabetismo religioso dei giovani delle parrocchie” di Samuele Ceccotti.

Figlio della catechesi esperienziale ma anche conoscitore di quella chiesa da “favola” che l’autore ha egregiamente evocato nella sua attenta analisi, mi sono chiesto se veramente i nostri giovani, i giovani che incontro in parrocchia, a scuola, in giro per la benedizione delle famiglie, mi chiedono un’alfabetizzazione dottrinale, una profonda conoscenza dei contenuti essenziali della fede cattolica, distinzioni precise e potenti circa la natura, forma e sostanza delle verità dogmatiche.
Vivo in un paese dove tanti giovani lavorano già in fabbrica e magari risentono a priori di un anticlericalismo di lontane radici storiche e culturali, loro hanno vissuto quel catechismo, da “pizzata e cartellone”, quella catechesi che partendo dall’esperienza, dalla vita del ragazzo, ha cercato di portarli all’incontro con la Parola del Cristo vivente, con la sua Chiesa, con la Grazia dei sacramenti. E’ vero, tutti noi oggi sentiamo sulla nostra pelle il dramma dell’enorme disparità tra il seme gettato e il frutto raccolto… ma tutto poi dipende dalla mano del seminatore?
Anch’io ho letto il testo a cura di Bichi e Bignardi “Dio a modo mio” (Vita e Pensiero 2015) e come prete ne sono rimasto turbato, dal testo emerge una mancanza di chiarezza nei contenuti della fede nel mondo dei ragazzi e dei giovani, mi chiedo però se la semplice padronanza dottrinale possa bastare per essere credenti, se la semplice acquisizione mnemonica del catechismo di S. Pio X basti a far nascere la fede e compiere quel passaggio fondamentale che è la piena integrazione Fede-Vita.
Non vuol essere quest’articolo una requisitoria (sono un povero prete di periferia), ma una semplice considerazione che possa aprire un rinnovato impulso sull’annunciare la fede oggi.
Il documento base “Il rinnovamento della Catechesi in Italia”, al n. 74 cosi dice: L’adesione a Gesù Cristo deve ampliarsi e approfondirsi in uno sviluppo organico, che soddisfi al bisogno di fede di ciascuno, secondo la sua vocazione e situazione, rendendo conto quanto più possibile, dell’oggettiva ricchezza della Rivelazione. Così la fede si trasforma gradualmente in una sapienza cristiana viva e coerente.
Credo che questa progressività, questo “sviluppo organico” è il percorso dell’annuncio di fede. Questi giovani “analfabeti” dottrinalmente a volte ci meravigliano perché nella confusione della loro vita spirituale, c’è sempre una domanda, c’è sempre un bisogno che chiede di essere ascoltato! C’è bisogno di una “comunità di fede” di una comunità che vinca le loro solitudini!
La memoria noiosa del catechismo si mischia con il ricordo allegro dell’oratorio e dei campi, di una prima “socializzazione ecclesiale” che verrà si rigettata, ma dal quale possono trarre gli elementi di base per abbozzare la propria cornice, oltre alla possibilità concreta di sperimentare la bellezza di credere in Dio. (Dio a modo mio, p.25)
I vescovi italiani, nel riconsegnare il DB (Documento Base) alla chiesa italiana, già nel lontano 1988 avevano intravisto i primordi di quello che oggi è dilagante: Assistiamo al tempo stesso al diffondersi di un soggettivismo della fede, che porta a selezionarne i contenuti, a relativizzare l’adesione alla Chiesa, a privilegiare l’emotività.” (Lettera dei vescovi per la riconsegna del testo “Il Rinnovamento della Catechesi”). Quest’individualismo dilagante ha minato i nostri giovani che invece cercano comunità di cristiani che autenticamente mostrino loro una vita bella, perché antidoto all’individualismo e in specie all’individualismo della fede, è la comunità, la testimonianza piena della fede realizzata!
Vorrei riprendere il discorso di apertura del concilio di Giovanni XXIII: Ma il nostro lavoro non consiste neppure, come scopo primario, nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti. Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un Concilio Ecumenico. (…)occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi.(Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Vaticano II n. 4).
La carica profetica del testo di S. Giovanni XXIII, ci provoca a vedere nell’annuncio di fede ai giovani lo snodo essenziale per il nostro futuro ecclesiale! Essi chiedono con i loro percorsi complessi e contraddittori, con la loro criticità, una conversione pastorale che non può ridursi alla semplice riproposizione dei solidi contributi del passato che pur validi e rassicuranti, possono garantire più le nostre paure che le reali risposte alle loro domande.
Partire dalle domande, aprirci allo stile del vangelo, quello di Cristo, che con ognuno dei suoi interlocutori, ha vissuto un percorso di accoglienza senza giudizio, di pazienza perseverante, di originalità che guardava alla persona e alle sue domande!
Chiamati ad incarnare, chiamati a mostrare un cristianesimo capace di interpretare l’esistenza, capace di mostrare “prima con la vita e poi se serve con la parola” che vale la pena essere cristiani! Qui si gioca il futuro!
Sempre in “Dio a modo mio” a pg. 182 leggiamo: La chiesa se non vuole perdere i giovani, deve riscoprire il valore delle relazioni che fanno sentire importanti, che generano interesse per le esperienze (…) La comunità che accoglie ciascuno per ciò che è a poco a poco genera appartenenza, e l’appartenenza sostiene l’impegno di capire, genera identità, motiva al coinvolgimento. Nel contesto di oggi, difficilmente può avere efficacia una prassi che chiede prima l’adesione della mente, e poi –caso mai- quella del cuore e della responsabilità”.
Quest’ultimo passaggio ben interpreta la sfida che ci attende!
Ancora una volta, in questo snodo fondamentale della storia della chiesa che è il nostro tempo, ci viene chiesto di prendere il largo, di non avere paura, di non rifugiarci in quello che spesso è forse la risposta alle nostre domande e non a quella di chi è davanti a noi!
Ad ogni arco di età i cristiano devono potersi accostare a tutti il messaggio rivelato secondo forme e prospettive appropriate (DB 134).
Verità e persona: un incontro necessario di cui noi preti ed educatori ne siamo umili servitori.
Ecco come quel prete, figlio della catechesi dei cartelloni e dei “giochetti” dei suoi catechisti semplici e della sua comunità normale ha incontro Cristo e ha scoperto che per Lui valeva la pena lasciare tutto!

Don Pierluigi Bartolomei

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