SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Al teatro San Filippo Neri, è andato in scena uno spettacolo dal titolo “SoSpiRi” nato dalla collaborazione fra alcuni ragazzi della parrocchia Regina Pacis di Centobuchi e i ragazzi dell’associazione Caleidoscopio, che li hanno assistiti e guidati nella preparazione di un “viaggio” teatrale e spirituale in vista della prossima GMG 2016 che si svolgerà il prossimo luglio a Cracovia, in Polonia.
A riferirci tutti i dettagli, i retroscena e i commenti post-spettacolo sono stati Michele, Silvia e Vincenzo (di Caleidoscopio) insieme a Valentina, Mattia, Ester e Alteo, quattro degli 11 ragazzi di Centobuchi protagonisti della rappresentazione.
Come, quando e perché è nata quest’iniziativa?
Silvia: Noi ragazzi di Caleidoscopio (un’associazione teatrale no profit nata nel 2009 in seguito ai laboratori estivi della parrocchia di San Filippo Neri), siamo stati contattati qualche mese fa da alcuni ragazzi della parrocchia Regina Pacis di Centobuchi, i quali ci hanno proposto e chiesto di collaborare con loro ad un’esperienza teatrale che facesse da preparazione alla prossima GMG. Il tutto è partito poi a dicembre: all’inizio ci incontravamo una volta a settimana ma poi, man mano che lo spettacolo iniziava a prender forma, abbiamo aumentato gli incontri fino a vederci sempre più assiduamente, anche più volte a settimana.
Alteo: Noi desideravamo intraprendere un percorso di preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù e così a settembre i nostri catechisti insieme a don Pierluigi e don Pino, ci hanno esposto l’idea e l’intenzione di avviarci ad un percorso teatrale nel quale ci saremmo dovuti mettere in gioco a 360°, una nuova “impresa” alla quale sottoporsi. Ogni anno, infatti, noi del gruppo dopo-cresima ci dedichiamo a delle attività che chiamiamo “imprese” e che rappresentano un po’ una forma alternativa di catechismo.
Ester: L’anno scorso, ad esempio, da settembre a dicembre ci siamo improvvisati cuochi e abbiamo organizzato una cena per una trentina di persone in un ristorante importante, cucinando e servendo ai tavoli, mentre da gennaio a maggio sempre dello scorso anno ci siamo dedicati a dei cortometraggi.
Perché il titolo “SoSpiRi”?
Silvia: Il titolo è l’insieme delle iniziali delle tre parole sofferenza, spiritualità, rinascita, parole che abbiamo scelto nella ricerca di un legame tra Polonia, GMG e il percorso teatrale che volevamo fare.
Ripercorrendo, infatti, un po’ la storia della Polonia ci siamo accorti che questi termini potevano simboleggiare alcune fasi della storia di questo paese: la sofferenza, ad esempio, del periodo della seconda guerra mondiale, la spiccata e sempre forte spiritualità di questo popolo che è riuscito, grazie ad essa, a rimanere unito anche nei momenti più difficili e infine la rinascita che la Polonia ha conosciuto alla fine degli anni ’80, periodo del partito di Solidarność.
Questi tre aspetti ci sono piaciuti e così abbiamo pensato di svilupparli anche tenendo presente la bandiera della Polonia, e quindi il contrasto tra il bianco e il rosso: il bianco della positività e il rosso della sofferenza. Durante la fase di preparazione abbiamo lavorato molto sulle improvvisazioni dei ragazzi: abbiamo, infatti, proposto loro un laboratorio esperienziale, che non fosse cioè semplicemente un teatro basato su un copione ma una sorta di training teatrale, una serie di esercizi simili a dei giochi ma che in realtà servono a concentrarsi e nello stesso tempo a lasciarsi andare per riuscire a tirare fuori qualcosa con la propria immaginazione. Le improvvisazioni erano a tema e potevano ad esempio essere fatte o soltanto con la voce o soltanto con il corpo. E tra queste, qualcuna è così ben riuscita che poi è stata anche inserita all’interno dello spettacolo vero e proprio, come ad esempio “il gioco della fiducia”.
Michele: “Abbiamo infatti cercato di lavorare molto sul trasporto emozionale, di fare un lavoro esperienziale che non si basasse solo sulla semplice battuta ma che coinvolgesse il pubblico soprattutto dal punto di vista emotivo, cercando di comunicare dei messaggi non solo verbalmente ma anche visivamente, con dei momenti per esempio soltanto musicali. Sin da subito, poi, i ragazzi di Centobuchi hanno accolto questo modus operandi con entusiasmo e tra noi c’è stato un continuo scambio di idee: noi abbiamo messo un po’ della nostra esperienza e loro tanta spontaneità.
Cosa ha lasciato invece a voi di Centobuchi questo spettacolo? Com’è stato salire su di un palco?
Ester: Quest’impresa è stata un po’ diversa dalle precedenti e infatti molti, sentendosi più a disagio, hanno deciso di non continuarla. Richiedeva, infatti, un impegno personale maggiore e un mettersi in gioco diverso, in prima persona…così da 30 che eravamo siamo rimasti in 11. Certo, all’inizio, vedere che molti abbandonavano ci ha un po’ destabilizzato perché eravamo abituati a “muoverci” in gruppo. Nonostante tutto, però, abbiamo deciso di portare avanti questo progetto e alla fine sono emersi tantissimi “pro”: essendo in pochi a lavorare, abbiamo potuto approfondire meglio la nostra conoscenza, anche attraverso gli esercizi di training, che non per forza erano basati sulla parola, ma che ci hanno portato a creare un legame più forte e a stringere relazioni più strette. Aver avuto un’esperienza comune come questa del teatro ci ha fortemente unito perché ci siamo divertiti, abbiamo condiviso emozioni e sentimenti e in tante occasioni abbiamo avuto modo di sostenerci a vicenda: oggi possiamo dire di fidarci l’uno dell’altro.
Valentina: E’ stata un’esperienza difficile perché diversa da quelle a cui siamo abituati e a cui sono abituati anche i nostri parrocchiani. Molti, infatti, ancora ci fanno i complimenti perché è stato uno spettacolo dalla struttura insolita: è stata un’esperienza unica, ne è valsa davvero la pena.
Alteo: E’ stata una novità per noi, una cosa del tutto particolare e fuori dagli schemi. Inizialmente pensavo che sarebbe stato la classica rappresentazione teatrale standard, uno spettacolo semplice ma in realtà poi si è rivelato tutt’altro, uno spettacolo che ci siamo cuciti addosso, visto che anche il canovaccio è stato costruito da noi passo dopo passo, cercando di unire dei testi secondo il filone dei SOSPIRI. La cosa che poi ho imparato veramente, e che prima era per me solo un sentito dire, è che lo sguardo “parla” molto più delle parole.
Per il futuro pensate di continuare questa collaborazione?
Silvia: Innanzitutto, pensiamo di proporre una replica dato che il pubblico e anche il nostro Vescovo hanno apprezzato il nostro spettacolo. Molti ci hanno, infatti, confidato di aver oltrepassato le aspettative: la simbologia presente sulla scena ha colpito tante persone e ha reso lo spettacolo particolare e inaspettato. Inoltre, tra noi è già emerso un interesse reciproco a continuare sulla strada della collaborazione, magari iniziando pian piano ad assistere alle prove della nostra associazione per assaporare un po’ l’atmosfera che vi si respira. Nulla succede per caso e sicuramente c’è un motivo anche del nostro “incontro”.
Voi siete dei ragazzi che partecipano ognuno alla vita della propria parrocchia: dall’interno che idea avete riguardo alla Chiesa di oggi e come vi relazionate con chi invece è del tutto scettico e la vede come una cosa da tener lontano?
Silvia: Secondo me, quello che oggi manca nelle parrocchie sono proprio i giovani. Mi è rimasta impressa una frase di San Giovanni Paolo II: “Cosa può attirare un giovane ad andare in chiesa? Un altro giovane”. Credo che sia proprio vero: è ovvio che se ho un gruppo di amici con cui mi trovo bene e che condivide certi valori è più facile frequentare la parrocchia altrimenti è più facile perdersi.
Ester: La fiducia del nostro parroco e di don Pino in un cammino di catechesi che parte dell’umano, un “catechismo alternativo”, ad esempio, ti lascia più il segno, come ha fatto proprio quest’esperienza teatrale che, toccando tanti aspetti della vita, sia positivi che negativi, è stata un’occasione di riflessione e meditazione.
Alteo: Questa domanda io me la pongo tutti i giorni. E’ vero che a scuola qualcuno storce il viso quando mi sente dire “stasera sto con quelli della parrocchia” ma io non abbasso mai la testa: tanti non sanno che esiste un modo di divertirsi diverso, più sano e più incisivo rispetto a d altre cose che non lasciano il segno o che, a volte purtroppo, “ti ci lasciano proprio”.
E’ diversa l’amicizia basata su un comune percorso di fede?
Vincenzo: Per quanto mi riguarda, non avendo avuto mai un gruppo stretto in parrocchia, credo che la profondità delle persone e dei rapporti esista a prescindere dall’ambiente che frequenti e io, personalmente, quando mi trovo di fronte a qualcuno cerco sempre di mettermi nei suoi panni e andare al di là per capire la sua personalità.
Silvia: Io, invece, vedo che magari alcuni compagni si fermano più sull’apparenza e instaurano rapporti più superficiali mentre noto che con altre persone che percorrono più o meno lo stesso mio percorso non ci si annoia e si affrontano diversamente anche le cose di tutti i giorni, i discorsi anche più semplici vengono affrontati con un occhio diverso. E’ come se ci fosse una maggiore profondità, una forte spiritualità, un forte dialogo con se stessi. Questa è una cosa che il teatro, ad esempio, insegna moltissimo perché il teatro è l’arte in cui l’uomo incontra l’uomo: ti mette davanti a te stesso e ti fa lavorare sulla tua interiorità e anche su quella degli altri perché trasmetti qualcosa anche al pubblico che si rivede in te.
C’è poco da aggiungere. La collaborazione e lo spettacolo sono perfettamente riusciti…sono gli occhi e i sorrisi di questi ragazzi a dimostrarlo.
0 commenti