Di Giovanna Pasqualin Traversa
Meno quantità ma più qualità, meno routine e più consapevolezza. Certamente non un sacramento in via di estinzione. A delineare lo stato di salute della confessione (detta anche sacramento della penitenza, del perdono, della riconciliazione, della conversione) è il vaticanista del Tg1 Aldo Maria Valli che ha appena dato alle stampe, per i tipi di Ancora, “C’era una volta la confessione”, sottotitolo “Inchiesta su un sacramento in crisi”. Nella sua indagine sul campo, l’autore ha raccolto testimonianze di confessori (ed è interessante la loro diversità di impostazione e punti di vista) e di penitenti di ogni età.
“La confessione – assicura – sta cambiando forma, come del resto ha sempre fatto nei secoli. Vive nella storia e rispecchia la varietà delle situazioni umane, la sensibilità e le contraddizioni delle persone. Sta attraversando una crisi di crescita, ma c’è ancora”. Sicuramente “non è in via di estinzione”.
Nodo problematico e luogo di errori, peccati, pentimenti è la famiglia. Per questo c’è attesa per l’esortazione apostolica post- sinodale “Amoris laetitia”. Effetto Bergoglio? In parte sì ma a fare la differenza è la figura del confessore.
Qual è il nuovo volto della confessione?
Sempre meno scontato e automatico, oggi questo sacramento viene preso molto più sul serio. C’è chi chiede uno specifico appuntamento. Si è prolungata la durata media del colloquio che per alcuni diventa anche verifica della propria vita interiore. Per altri invece, in una società largamente secolarizzata che tende a privatizzare il rapporto con Dio, si è certamente affievolito il senso del peccato, ma si sono acuiti sofferenza, senso di solitudine e bisogno di ascolto. Tenerezza, partecipazione, compassione: per molta gente sono tesori che si trovano solo in confessionale.
Non c’è il rischio che in questo modo la confessione resti su un piano esclusivamente “umano” perdendo la sua dimensione sacramentale e riducendosi ad un colloquio di sostegno psicologico?
Il bisogno di ascolto è in genere la molla che conduce al confessionale, ma in chi va a confessarsi c’è anche la fiducia di aprirsi ad un Padre che perdona e consente di aprire una pagina nuova. L’oppressione non è definitiva, c’è la possibilità di ricominciare e di arrivare poco per volta alla conversione, ma molto si gioca sul rapporto che il confessore riesce ad instaurare.
Quanto conta l’effetto Francesco?
Il Papa esorta a ricorrere alla confessione con fiducia; tuttavia se molta gente si è riavvicinata grazie a lui alla Chiesa, è difficile dire quanto il suo insegnamento influisca effettivamente sul ritorno alla confessione. Secondo una ricerca del Cesnur nell’aprile 2013, il 53 per cento dei sacerdoti interpellati riferisce di un aumento, già nel primo mese di pontificato, anche del 25 per cento di persone che “ritornano”. In assenza di indagini più aggiornate, le risposte dei confessori che ho contattato non forniscono un quadro omogeneo, mentre testimonianze successive alla chiusura del libro parlano di un aumento, forse legato anche all’Anno santo. Mi sembra si tratti di un’onda lunga i cui effetti andranno verificati nel tempo.
Come stanno cambiando i penitenti?
Oltre allo zoccolo duro di chi si avvicina con regolarità al sacramento (soprattutto persone anziane) o in occasione di feste particolari come Pasqua o Natale, emerge una categoria interessante, quella dei “ricomincianti”, persone che dopo una forte esperienza spirituale o una sofferenza profonda avvertono il desiderio di rimettere ordine nella propria vita. Ma non mancano i giovani e chi ritorna alla confessione dopo altre “esperienze” spirituali insoddisfacenti, anche non cristiane.
Quali i peccati più confessati?
Il nodo problematico, culla di tensioni, errori, peccati, pentimenti è la famiglia. La confessione di un aborto è la più sofferta, ma è spesso quella che dà più sollievo e fa rinascere.
Nei giovani non c’è percezione dei peccati legati alla sfera sessuale, ambito privato nel quale rifiutano intromissioni. In generale, manca la percezione di peccati “sociali” come l’intolleranza verso gli immigrati, le frodi e l’evasione fiscale, le azioni contro l’ambiente, e si è affacciato il nuovo capitolo dei peccati informatici.
A proposito di relazioni familiari, l’8 aprile verrà presentata l’esortazione apostolica post- sinodale “Amoris laetitia”…
C’è grande attesa per il documento del Papa. Tuttavia,
già prima dell’apertura del “doppio Sinodo”, sulle situazioni che un tempo la Chiesa definiva “irregolari” la maggior parte dei confessori adottava la regola dell’accoglienza delle persone per quello che sono e del “caso per caso”, evitando norme astratte calate dell’alto. Anche quando l’assoluzione non è possibile, si gioca tutto nel rapporto con il confessore che può costituire una guida spirituale con cui fare un cammino.
La competenza e la sensibilità di quest’ultimo sono determinanti perché si vanno a toccare corde profonde e spesso dolorose; tuttavia per alcuni penitenti non tutti i sacerdoti sono all’altezza. Indubbiamente – e ad ammetterlo sono anche diversi preti – la formazione teologica e umana dei ministri della confessione rimane un problema.
Ma noi crediamo veramente nel perdono?
Forse la vera questione sta proprio qui anche se, ripete instancabilmente Papa Francesco, “non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare”. Questa è forse l’ultima tentazione del principe delle tenebre che tenta di farci sentire indegni di perdono. Per questo ho concluso la mia inchiesta incastonando la bella testimonianza di un parroco romano, secondo il quale
l’avvento del Pontefice non ha fatto aumentare il senso del peccato, ma la percezione della misericordia del Padre e il desiderio di incontrarla vivendola sulla propria pelle.
E chi viene accolto, rispettato e incoraggiato può arrivare a capire meglio il proprio peccato e a chiederne perdono.