La sanità è un settore che fa gola per l’ingente valore della spesa pubblica, pari a 110 miliardi di euro l’anno. Diventa quindi terreno fertile per piccoli e grandi episodi di corruzione e frodi, dalla scalata di una lista d’attesa agli appalti per forniture di beni e servizi, che, purtroppo, balzano spesso nelle prime pagine delle cronache italiane e i cui danni erariali si quantificano in sei miliardi di euro l’anno pari a più del 5% della spesa pubblica. Situazione grave, ma non disperata, di cui dà conto il primo rapporto sulla percezione della corruzione, realizzato nell’ambito del progetto “Curiamo la corruzione” (www.curiamolacorruzione.it) da Transparency international Italia, Censis, Ispe-Sanità e Rissc, presentato oggi al Tempio di Adriano a Roma nel corso della prima Giornata nazionale contro la corruzione in sanità e sostenuto dalla Siemens integrity initiative.
II dati parlano di un Paese in cui la percezione del sistema corruttivo è molto elevata.
Nel 37,2% del totale delle 151 strutture su 333 interpellate che hanno risposto al questionario, negli ultimi 5 anni hanno registrato al proprio interno episodi di corruzione, che in circa un terzo dei casi “non sono stati affrontati in maniera appropriata”. Inoltre, segnala il documento, “nonostante le azioni che sono state realizzate negli ultimi anni”, l’87,2% degli intervistati percepisce la corruzione come un problema che rimane grave e che necessita di una pluralità di interventi, addirittura per il 98,7% è uno dei maggiori problemi del Paese. Problemi che tornano perché paiono non risolti. Giova ricordare che sono passati 25 anni dalla prima “mazzetta in sanità”: era il 17 febbraio del 1992, quando l’allora presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa fu arrestato a seguito di una tangente di sette milioni di lire ricevuta da un imprenditore che gestiva una piccola società di pulizie e che voleva assicurarsi la vittoria nell’appalto per le pulizie dell’ospizio.
Da dove nasce la corruzione? Secondo i dirigenti intervistati, il motivo principale consisterebbe nella “eccessiva ingerenza della politica nelle nomine dei vertici della Pubblica amministrazione e, di conseguenza, nel controllo che questa può rivendicare sui comportamenti e sulle azioni dei dirigenti pubblici”. Segue l’ampia discrezionalità lasciata dalla farraginosità e poca chiarezza delle procedure burocratiche, mentre, al terzo posto vengono individuati lo scarso attaccamento e la scarsa attenzione nell’utilizzo del denaro pubblico.Significativo che, nel momento in cui si decide di partecipare ad un atto di corruzione, sarebbero meno sentite le considerazioni sugli aspetti penali, “data la scarsa rilevanza delle pene previste e dalla certezza di non essere scoperti”.Due sono gli ambiti che si prestano maggiormente alle pratiche corruttive: quello degli appalti e quello delle assunzioni di personale. Al primo posto, l’83% dei dirigenti sanitari indica i rischi che si annidano negli acquisti di beni e servizi e il 66% nella realizzazione di opere e infrastrutture, mentre il 31% sottolinea la possibilità che si seguano scorciatoie illecite nelle assunzioni.
Il rapporto spiega con efficacia che le voci di spesa per beni e servizi che non incidono direttamente sull’assistenza sanitaria e non sono collegati all’efficacia dell’intervento, come quelle per la mensa, la lavanderia e la gestione dei rifiuti speciali, assorbono risorse consistenti. Voci apparentemente minori, che costituiscono l’1,5% della spesa sanitaria nazionale, ma dove nei fatti si annidano spreco e corruzione per ben un 29% di spese ingiustificate. Dall’analisi dei conti di Asl e Aziende ospedaliere emerge che dal 2009 al 2013 gli sprechi sono diminuiti in media del 4,4% l’anno, ma la loro incidenza rispetto alla spesa complessiva non si è ridotta: ammontano a 1 miliardo di euro l’anno. Il rapporto informa inoltre che molto è stato fatto per prevenire i casi di corruzione in ambito sanitario. Il 97% delle strutture sanitarie ha adottato uno specifico Codice di comportamento dei dipendenti, il 93% ha predisposto un regolamento per le procedure d’acquisto e l’85% ha previsto procedure per la segnalazione di casi di corruzione e azioni a tutela dei dipendenti che le effettuano (i whistleblower). Ma l’esame dei Piani anticorruzione, previsti dalla L. 190/2012, rivela però che nel 40% dei casi ci si è limitati a un adempimento formale dell’obbligo di legge.
“La sanità, per l’enorme giro di affari che ha intorno e per il fatto che anche in tempi di crisi è un settore che non può essere sottovalutato, è il terreno di scorribanda da parte di delinquenti di ogni risma” ha detto Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, intervenendo in apertura del convegno e sottolineando che “la corruzione non si vince solo con arresti e sequestri, che pure sono indispensabili, ma soprattutto con una rivoluzione culturale e motivando la parte migliore del settore sanitario”. Sulla stessa linea anche Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, università e ricerca, che in una nota ha specificato che per combattere la corruzione è necessario intervenire “sul piano culturale affinché si faccia comprendere che questa è un danno non al singolo o a un gruppo, ma a tutto il Paese”. Anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha affidato la sua presenza a un messaggio, annunciando la sottoscrizione di un apposito protocollo con il presidente Cantone “per attuare controlli congiunti per garantire la piena e puntuale attuazione del Piano nazionale anticorruzione”.