CHIESA – Le quasi 300 pagine della Amoris laetitia, la corposa Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco pubblicata oggi, non sono bastate a distogliere l’attenzione della stampa laica mondiale dalla spinosa questione della comunione ai divorziati risposati. Il tema è ritornato preponderante nelle domande dei giornalisti durante la presentazione del documento, stamane, in Sala Stampa vaticana, tanto che il cardinale Cristoph Schönborn ha dovuto ammonire più volte: “Non ci si deve fissare su un punto particolare. È importante ma particolare, senza criteri complessivi anche il discernimento sui sacramenti cadrebbe dal cielo senza una connessione con l’insieme”.
All’arcivescovo veniva domandato, in particolare, perché un punto chiave quale appunto l’accesso ai comunione sacramenti da parte di chi vive una seconda unione sia stato trattato in una nota: esattamente la 351 del 305esimo paragrafo dell’ottavo capitolo, quello in cui il Papa chiede di “accompagnare, discernere e integrare la fragilità”. In essa il Pontefice sottolinea “che l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”.
“Non lo so – ha risposto laconico Schönborn – non ho scritto il testo, è il Papa che l’ha fatto”, ma “mi colpisce che tutti leggano questa nota!”. Per il porporato, “è una trappola focalizzare tutto su questo punto perché si dimentica l’insieme della situazione. Dopo Amoris laetitiae ci sono tante situazioni su cui continuare a discutere, una è un rinnovamento della nostra prassi sacramentale nell’insieme. Cinquant’anni dopo il Vaticano II sarebbe bene ripensare a ciò che vuol dire una vita sacramentale, non solo per i divorziati risposati ma per tutti”.
In ogni caso, ha affermato il cardinale domenicano, è da chiarire che “non c’è alcuna rottura tra Amoris laetitia e il magistero dei Pontefici precedenti sulla famiglia”. “Non c’è cambiamento, ma innovazione. Un naturale ‘sviluppo organico della dottrina’, ovvero l’innovazione nella continuità”.
Pensando, ad esempio, alla Familiaris Consortio, l’Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II sulla famiglia è da notare che Wojtyla “parla di tre situazioni diverse. La terza è il caso nel quale i risposati hanno moralmente la convinzione che il loro primo matrimonio non sia valido”. Il Papa “non ha tirato la conclusione su questo fatto”, anche perché “ci sono delle situazioni in cui non è possibile trovare una soluzione canonica”.
Inoltre “era già una prassi da lungo tempo” ammettere ai Sacramenti i coniugi che vivono “nella certezza morale che il loro primo matrimonio non sia sacramentale” e “con la coscienza della quale parla Papa Giovanni Paolo, cioè che sono convinti di non essere sposati sacramentalmente”. E questa prassi “né Giovanni Paolo II, né Benedetto l’hanno esplicitamente mai messa in dubbio”.
Dunque nella Familiaris consortio, pur ribadendo nel paragrafo 84 che è possibile dare la Comunione ai divorziati risposati solo nel caso in cui accettino di vivere “come fratello e sorella”, era comunque “implicita” la possibilità dell’Eucaristia. Anche perché “il matrimonio non si riduce solo alla unione sessuale, ma è tutta una vita”.
In questo senso Papa Francesco “sviluppa le cose”: ciò che era implicito nella Familiaris Consortio, “lui lo dice chiaramente, esplicitamente, e questo mi sembra una grande passo avanti”, ha affermato il cardinale.
Secondo lui, inoltre, la morbosa attenzione che oggi si sperimenta sulle posizioni della Chiesa nei confronti di chi è “ferito” dal “fallimento dell’amore”, è diventata per molti quasi “una questione-test per capire se la Chiesa sia davvero il luogo in cui si possa sperimentare la misericordia di Dio”. Questa misericordia c’è, e proprio per questo, come ha sottolineato il Papa stesso, non si può formulare una norma canonica generale. “Molti se la aspettavano, ma resteranno delusi”, ha detto il cardinale.
E sul tema del “discernimento” ha citato San Tommaso quando affermava: “I principi sono evidenti, sono chiarissimi, enunziati chiaramente, ma quanto più si scende nell’azione, nelle situazioni concrete, diventa più delicato di discernere”. “Questo – ha detto il prelato – va collegato a una certa ansia perché si deve discernere. Sempre sarà così che un prete forse sarà più disposto ad una visione più larga, un altro più timoroso o forse più severo… Ma questo è sempre così, anche nella vita”.
A tal proposito Schonborn, in risposta a chi esprimeva perplessità circa la possibilità per un vescovo o un sacerdote di discernere correttamente come agire nei casi concreti, ha ribadito che “non si può giocare con i sacramenti”. Allo stesso tempo, “c’è una responsabilità da parte di ognuno di noi”, non solo del vescovo o del confessore. “Non si può giocare con i sacramenti, è vero”, ma neanche “si può giocare con la coscienza, né si può giocare con Dio”. A domande tipo “‘come stai tu? Come siete voi nella coppia? Come siete davanti a Dio nella vostra coscienza?’ non può rispondere il prete pastore”.
Tornando ai contenuti del documento, l’arcivescovo di Vienna ha offerto “una chiave di lettura” che è “l’esperienza dei poveri”, perché “nella vita delle famiglie povere si sperimenta esattamente questo: i piccoli passi sul cammino della virtù possono essere molto più grandi del successo virtuoso di chi vive in situazione confortevole. E si sente, dietro questo testo, tutta una esperienza di vita di Papa Francesco, che ha camminato con tante famiglie sofferenti e povere, e per noi è anche una chiamata alla conversione”.
“Il Papa – ha ribadito il porporato, uno dei più vicini al Pontefice (quello regnante, come quello emerito) – non innova, ma sta nella grande tradizione pastorale prudenziale della Chiesa. Ricorre alla prudenza pastorale che ogni vescovo, ogni prete deve esercitare”. “Innovazione e continuità” sono dunque i due binari su cui viaggia l’Amoris Laetitiae, “non ci sono rotture”. I titoli dei giornali sono poi un’altra cosa.
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