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Amoris laetitia e Sinodo. La pastorale matrimoniale non è la pastorale delle eccezioni

Di Vincenzo Corrado

La pastorale matrimoniale e familiare non è la pastorale delle eccezioni. Potrebbe essere sintetizzato in questo slogan uno dei messaggi principali – forse il più atteso – dell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, sull’amore nella famiglia di Papa Francesco. E conviene partire proprio da qui nell’accostarsi alla lettura del testo per stemperare entusiasmi o fughe in avanti e mitigare lamenti e critiche per ciò che non è stato e poteva essere. Il perché? Lo si legge in maniera chiara al n.307 del documento:

“Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture”.

È questione di sensibilità con cui si guarda alla realtà matrimoniale e familiare. È questa, nella sua complessità, a non accettare discussioni vane e futili tra “vincitori e vinti”, che peraltro non appartengono alla natura stessa della Chiesa. Ciò che, invece, è costruttivo è lo sguardo in profondità sulla vita familiare, sul matrimonio, sul popolo di Dio, chiamato a vivere la propria vocazione in tempi difficili e complessi.

In questo il titolo stesso scelto per l’Esortazione – “Amoris laetitia” (“La gioia dell’amore”) – suggerisce uno spirito positivo e propositivo. Si sa che l’incipit dei principali documenti papali indica generalmente l’intenzione principale del testo, il suo cuore, il punto dominante. Così è per “Amoris laetitia”: “La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa”, si legge al n.1. Non si sta parlando di astrazioni o proiezioni ideali, ma della bellezza della vita matrimoniale e familiare, nonostante tutte le sfide che questa comporta. Il testo, dunque, sorprende per la sua concretezza: basta leggere i nn.32-57 per rendersene conto oppure i capitoli quarto, quinto e sesto. Ancora una volta, Papa Francesco, con il cuore del Pastore, entra nelle realtà quotidiane della vita familiare in maniera semplice, ma profonda e, a tratti, poetica e romantica. Come, ad esempio, al n. 163 quando parla della “trasformazione dell’amore” e della “necessità di ritornare a scegliersi a più riprese”.

Un documento concreto e, pure, denso, variegato, multiforme, che colpisce per la sua ampiezza e articolazione (nove capitoli e 325 paragrafi).

“A causa della ricchezza dei due anni di riflessioni che ha apportato il cammino sinodale – spiega Francesco al n.7 – l’Esortazione affronta, con stili diversi, molti e svariati temi. Questo spiega la sua inevitabile estensione. Perciò non consiglio una lettura generale affrettata. Potrà essere meglio valorizzata, sia dalle famiglie sia dagli operatori di pastorale familiare, se la approfondiranno pazientemente una parte dopo l’altra, o se vi cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza concreta. (…) Spero che ognuno, attraverso la lettura, si senta chiamato a prendersi cura con amore della vita delle famiglie”.

Nelle parole del Papa ritornano due accenti forti: lo sguardo secondo la spiritualità ignaziana (= prendersi cura) e la pastorale attenta alla concretezza della vita familiare. Ma non solo. “Amoris laetitia” porta iscritto, in modo indelebile e a chiare lettere, il cammino sinodale, compiuto nel 2014 e nel 2015, con due assemblee dedicate allo stesso tema: la famiglia, appunto.

Senza rischio di essere smentiti, si può allora affermare che davvero “Amoris laetitia” è un’Esortazione post-sinodale nel senso autentico del termine. È espressione del “camminare insieme” (= Sinodo) – laici, pastori, vescovo di Roma – generatore di quel “dinamismo di comunione” che dovrebbe stare alla base di tutte le decisioni ecclesiali.

E qui non siamo alla teoria, ma alla realtà originaria e profonda della Chiesa (mistero di comunione) che deve manifestarsi in ogni comunità ecclesiale e deve funzionare come norma di vita.

La sinodalità e la collegialità emergono pure dal cosiddetto apparato critico, ossia dalle “note” del testo. Vi sono quelle consuete in un documento di questo genere: il precedente magistero pontificio e gli altri interventi della Santa Sede. Importanti i riferimenti a Tommaso d’Aquino e a Ignazio di Loyola. Colpiscono le citazioni “ecumeniche”, come Martin Luther King e Dietrich Bonhoeffer, e quelle di personalità significative, tra cui lo psicanalista Erich Fromm, i poeti Jorge Luis Borges e Octavio Paz, i filosofi Antonin Sertillanges e Josef Pieper. Particolare la citazione del film “Il pranzo di Babette”, utilizzata per spiegare il concetto di gratuità. E, come già avvenuto per altri testi di Francesco, ci sono i contributi di diverse Conferenze episcopali del mondo: Spagna, Corea, Argentina, Messico, Colombia, Cile, Australia, Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), Italia, Kenya.

È il respiro della cattolicità

che, assimilata la lezione del Concilio Vaticano II, si apre sempre più alla sua dimensione reale, ovvero planetaria. Le conseguenze, a livello ecclesiologico, sono rilevanti e impegnative. E Francesco lo sa bene. Per questo, al n.3 “ricordando che il tempo è superiore allo spazio”, ribadisce che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali”. Più avanti, al n.300, chiarisce: “È comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”. Anche perché, evidenzia al n.304, “è meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale…”.

Insomma, la sfida principale per le comunità ecclesiali è racchiusa in quei tre verbi che danno il titolo al capitolo ottavo: “Accompagnare, discernere e integrare”. Tre atteggiamenti di fondo che si completano e si richiamano a vicenda, modificando l’orientamento verso le “fragilità”: “I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti” (n.308). È “la logica della misericordia pastorale”, la sola in grado di dare risposta al desiderio di salvezza che c’è nel cuore di ognuno, di ogni famiglia.

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