Si spalanca il baratro dell’impeachment per la presidente del Brasile Dilma Rousseff. Il lungo procedimento ha avuto un’accelerazione, peraltro ormai prevista, domenica 17 aprile, con il voto della Camera dei deputati, che ha dato il via libera all’inizio della procedura d’impeachment, al termine di una tesissima seduta fiume di tre giorni. I numeri sono schiaccianti: 367 sì, 137 no, 7 astenuti. Molto di più del quorum dei due terzi che era richiesto.
La mannaia non si è ancora abbattuta sulla testa della Rousseff, ma la votazione ha avuto un esito imprevedibile solo qualche settimana fa. Dopo l’abbandono della maggioranza da parte dei centristi del vicepresidente Michel Temer e da parte di altri partiti minori, è una gara ad abbandonare la presidente al suo destino. Ora la parola passa al Senato, dove però il sì alla procedura potrà essere approvata anche con la maggioranza semplice. Scatterà a quel punto, in caso di voto favorevole (il dibattito sarà in maggio), la sospensione della presidente per 180 giorni: il tempo di organizzare la difesa e di affrontare un altro voto in Senato, prima dell’ultimo giudizio della Corte Suprema. In questi sei mesi le funzioni di capo dello Stato sarebbero assunte da Tener.
Intanto le piazze brasiliane sono piene di manifestanti, di entrambi gli schieramenti. Non sono mancati scontri. E tutto il Sudamerica, che considera il Brasile un punto di riferimento, guarda con stupore e, in qualche caso, con preoccupazione a quello che sta succedendo nel grande Stato carioca.
Lotta di potere che non scalfisce la corruzione. In effetti, vista da fuori, la vicenda ha un qualcosa di surreale, pur nella “reale” crisi di sistema, sia economica sia politica: il Paese sta affrontando, come il resto del continente, una forte recessione dovuta al calo del prezzo del petrolio e di molte altre materie prime. Si appresta ad ospitare a Rio de Janeiro i Giochi olimpici. E la sua classe politica balla sul Titanic. Formalmente, la Rousseff, non viene messa in discussione per episodi di corruzione legati allo scandalo Petrobas. Anzi, sono piuttosto i principali registi dell’operazione impeachment ad essere direttamente implicati in indagini. Alla Rousseff si rinfaccia fondamentalmente un Bilancio pre-elettorale truccato, come ci spiega il professor Rodolfo Colalongo, argentino, docente di relazioni internazionali all’università Externado de Colombia di Bogota ed esperto di questioni brasiliane:
“La Rousseff è accusata di non aver portato davanti al Parlamento una variazione di bilancio. Per certi aspetti si tratta di accuse quasi ridicole o comunque poco significative”.
In parole povere, un pretesto – in quasi tutte le democrazie, e non solo in Sudamerica, l’anno prima delle elezioni si fa il lifting al bilancio dello Stato – per eliminare una presidente sempre più impopolare. Ma non certo un’operazione di “pulizia”. “La situazione è ormai diventata veramente complessa – fa notare Colalongo -. Dopo la Rousseff anche il vicepresidente Temer potrebbe essere messo in stato d’accusa. E il presidente della Camera Eduardo Cunha, la terza carica dello Stato, è accusato di gravi reati di corruzione.
Proprio la corruzione è un problema trasversale e assai diffuso in tutto il continente, ma in particolare in Brasile”.
Gli errori di Dilma. Sta di fatto, però, che la Rousseff è precipitata negli indici di gradimento dei brasiliani, secondo i sondaggi due cittadini su tre vogliono che lasci il potere. Difficile pensare che non abbia fatto degli errori. “Tutto è cominciato con la gestione dei Mondiali di calcio e con le spese eccessive per gli stadi – prosegue Colalongo -. Poi è venuta la crisi economica, che il Governo non ha saputo fronteggiare. L’anno scorso il Pil è sceso del 3,8% Il tutto mentre sul tavolo c’è una serie di privatizzazioni e aumentano i problemi sociali, nelle periferie. Infine, è arrivato lo scandalo Petrobas”.
Al Paese, in questo momento, servirebbe insomma “più” politica, non certo una sospensione della politica.
Come andrà a finire? Il destino politico della Rousseff sembra segnato, ma il Partito dei lavoratori – al potere da quasi 15 anni, potrebbe anche puntare a sciogliere le Camere. In caso di nuove elezioni, potrebbe tornare in campo l’ex presidente Lula, pure lui però recentemente indagato nella vicenda Petrobas. Certamente, fa notare Colalongo, “tutto il continente guarda a quanto succede in Brasile. E se la Rousseff dovesse essere deposta questo sarebbe un duro colpo per tutta la Sinistra del continente. Dopo di lei toccherebbe a Maduro, in Venezuela”.
Dalla Chiesa invito al dialogo. La Chiesa in questo frangente, ha espresso preoccupazione per la situazione del Paese. Qualche settimana fa il Consiglio permanente della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) aveva espresso il suo duro giudizio sulla corruzione e nel contempo aveva auspicato governabilità e dialogo:
“Esortiamo tutti a mettere davanti la concordia e la pace nelle proprie attività e dichiarazioni”.
Ogni persona è chiamata a dare il suo contributo e “a cercare soluzioni ai problemi che abbiamo di fronte. Siamo chiamati a dialogare per costruire un Paese giusto e fraterno”. Nei giorni scorsi, durante l’assemblea plenaria del Cnbb, i vescovi hanno ribadito l’invito al dialogo tra le parti, pur senza prendere posizione sul caso Rousseff. Ed hanno auspicato un maggiore impegno diretto dei cristiani in politica. Un’assenza che oggi più che mai si nota.
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