L’anziano signore si avvicina camminando adagio, schivato dalle biciclette che corrono lungo la corsia loro riservata sullo stesso marciapiedi. All’altezza del numero 85 di Rue de la Loi si ferma, toglie il cappello e deposita un fiore. Sosta in raccoglimento. Poco dopo arrivano due ragazze, borsa a tracolla e auricolari. Rallentano il passo. Una delle due accenna a un segno di croce. Quindi ripartono. Dinanzi all’uscita del metro di Maalbeek, ancora transennata, si accumulano mazzi di fiori, una bandiera belga, alcuni bigliettini, un paio di fotografie, due lumi rossi e un cartello scritto a mano che recita in francese il capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi “Quand je parlerai les langues des homme et des anges, si je n’ai pas l’amour…”. È trascorso un mese da quel 22 marzo, con le bombe all’aeroporto e alla metropolitana di Bruxelles: il ricordo resta vivo, accostato a un senso di impotenza e alla voglia di riscatto.
Si torna a vivere. Da allora Bruxelles ha ripreso la vita consueta. Forse con qualche timore in più. I militari e le forze dell’ordine sono visibilmente presenti sul territorio: nei cosiddetti “luoghi sensibili”, come le sedi istituzionali, i palazzi dell’Unione europea, le stazioni ferroviarie, la Bourse, il tribunale o il Parc du Cinquantenaire, ma anche nei pressi di scuole, luoghi di ritrovo, piazze, parchi… L’aeroporto di Zaventem, colpito da due ordigni esplosivi, è tuttora fuori gioco all’80%: partono e arrivano gli aerei della Brussels Airlines e di qualche compagnia estera, mentre i voli low cost scaricano (in qualche caso malamente) i passeggeri a Charleroi, Lille, Amsterdam o Francoforte: i consigli di amici e colleghi indicano di evitare ancora per qualche tempo la capitale belga, salvo necessità.La stessa direzione aeroportuale non è chiara sui tempi necessari per far ripartire tutto lo scalo: ora si parla di un paio di mesi, altre fonti indicano fine 2016.
I timori non mancano. Se lo scalo di Zaventem, all’estrema periferia nord della capitale, è tutto sommato fuori dalla quotidianità cittadina, la stazione di Maalbeek è nel cuore della Bruxelles europea, a due passi dai palazzi della Commissione e del Parlamento Ue. Per questo l’ex scala d’uscita dei pendolari è rimasta un punto di riferimento per chi non vuole, o non può, dimenticare la terribile mattina di martedì 22 marzo, gli oltre trenta morti e le centinaia di feriti causati dalle due bombe all’aeroporto e da quella esplosa su un vagone della metropolitana.
Panico, persone a terra senza vita, fumo intenso, fuggi-fuggi. E poi lacrime, abbracci, rabbia.
Le indagini sono in corso, forse una cellula degli attentatori è stata sgominata, ma non è a quello cui si pensa. La vita ordinaria impone di andare avanti, anche se si preferisce accompagnare i figli fin dentro la scuola, alcune linee di bus appaiono più vuote del solito, si evitano gli assembramenti, tanti girano alla larga dalla splendida Grand Place – o Grote Markt, come dice la parte di popolazione fiamminga – svuotata dai turisti.
Momenti terribili. Alla fermata di Maalbeek non c’è più l’anziana signora che tendeva la mano ai passanti per raccogliere qualche moneta e sfamarsi: la speranza è che si sia trasferita altrove, sopravvissuta anch’ella alla giornata nera di Bruxelles. Nei vicini edifici dell’Ue le misure di sicurezza sono passate nel frattempo dal livello 4 al 3, “colore giallo”: insomma allerta, ma non massima allerta. I giornali hanno relegato le notizie sulle indagini alle pagine interne, le tv ne parlano poco ormai. “Qui si fermano in tanti – spiega in francese un militare dal marcato accento olandese –, tutti i giorni. Faccio il turno in Rue de la Loi dal giorno degli attentati. Ho ancora negli occhi una mamma col bambino stretto forte in braccio e un uomo distinto col vestito stracciato, in preda al panico”.
La risposta dell’Europa. Le autorità municipali sono prudenti e dichiarazioni sul tema sicurezza non ne rilasciano, salvo i comunicati ufficiali. “Per non creare ulteriori timori”, spiega, defilato, un cancelliere. All’ultima plenaria del Parlamento europeo (che ha riservato un minuto di silenzio alle vittime degli attentati), il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha parlato di Bruxelles come di “città che ci è cara e che amiamo”, “città delle nostre amicizie e dei nostri amori, nella quale viviamo in armonia con quelli che ci circondano”. Poi un ricordo speciale per la funzionaria di un’agenzia della Commissione Ue uccisa dalle esplosioni, Patricia Rizzo, “giovane donna italiana – ha detto Juncker – piena di energia, fine, intelligente e radiosa. La ricorderemo a lungo”.Bruxelles fa memoria e guarda avanti, mentre i 28 Stati Ue faticano a trovare – nonostante le promesse dei giorni più tragici – forme coordinate di risposta al terrorismo internazionale che ha sconvolto Bruxelles come Parigi, Londra e Madrid.Una risposta che raccolga in un’unica azione le magistrature, le polizie, gli 007 dell’intera Europa. “Io però ci credo”, bisbiglia il militare di guardia a Maalbeek imbracciando il mitra. Poi leva il basco, saluta e si rimette a scrutare i passanti.