Zenit di Salvatore Cernuzio
VATICANO – Un’aria pesante quella che si respirava negli uffici della Prefettura degli Affari Economici nel periodo pre e post Cosea; quando, cioè, mons. Lucio Vallejo Balda – che della Prefettura era il segretario e della Cosea membro – aveva iniziato quel traffico oscuro di documenti riservati della Santa Sede conosciuto dalle cronache mondiali col nome di ‘Vatileaks 2’.
Stefano Fralleoni, all’epoca ragioniere generale della Prefettura – l’incarico più alto per un laico, da cui è stato sospeso nel 2015 – ricorda bene il malumore tra i diversi impiegati sfociato in diverbi e addirittura in alcuni “strattonamenti”. Ieri lo ha raccontato ai giudici vaticani durante un interrogatorio fiume, in qualità di primo testimone dalla pubblica accusa, durato circa 3 ore e mezzo.
Un quadro preoccupante quello descritto dall’ex ragioniere. Le “riunioni a porte chiuse” tra Vallejo e Francesca Immacolata Chaoqui, insieme a Nicola Maio, altro imputato nel processo, e mons. Alfredo Abbondi, membro della Prefettura, venivano mal digerite da tanti. Troppe “anomalie” in quei mesi, a cominciare dalla quantità “abnorme” di documenti fotocopiati, dal continuo via vai dall’archivio senza alcuna registrazione, dalla pr calabrese che entrava e usciva dagli uffici in modo del tutto “irrituale”, dal sospetto che serpeggiava tra i dipendenti di essere controllati da microspie.
Per non parlare degli sbalzi d’umore del monsignore spagnolo nel periodo successivo allo scioglimento della Cosea, quando si andava costituendo quella “commissione-ombra” di cui lo stesso Fralleoni ha confermato l’esistenza. Vallejo era arrivato ad un attrito tale con i suoi dipendenti da considerarli tutti “incapaci e fannulloni”. In una riunione aveva urlato che tutti coloro che lavorano in Vaticano sono persone “di basso livello”. E guai a chi faceva troppe domande o provava ad indagare più a fondo, evidentemente – diceva – voleva andare “contro la riforma” e “contro i voleri di Sua Santità”.
Il sacerdote, a detta di Fralleoni, subiva una forte “influenza” dalla Chaouqui, “teneva grande conto dei suoi giudizi”. Lei intanto frequentava la Prefettura, inizialmente “una o due volte la settimana” poi sempre più frequentemente. Degli argomenti trattati durante le riunioni top-secret del “gruppetto” nato in seno alla Cosea nessuno sapeva niente: “Non c’erano seguiti di lavoro affidato agli uffici della Prefettura, non c’era nessuna diretta relazione coi dipendenti, non si capiva di cosa parlassero”.
Presto all’ex ragioniere sorse il dubbio che il gruppo agisse per “fini extra-istituzionali”, visto che “quelli istituzionali erano già stati soddisfatti”. Effettivamente quella mole enorme di fotocopie che Balda chiedeva ogni giorno ad Abbondi e ad un usciere riguardava documenti già presenti nell’archivio della Prefettura (quindi già registrati), e in forma digitale in quello della Cosea. In particolare, Fralleoni ha spiegato che si trattava di estratti conto dello Ior sulle giacenze finanziarie di tutti i Dicasteri vaticani, una documentazione relativa alle Cause dei santi e a due postulatori, e i bilanci e le relazioni finanziarie delle Basiliche papali.
Se questi documenti erano già presenti e consultabili, che bisogno c’era di farne altre copie?
Tutti se lo domandavano. La signorina Paola Pellegrino, responsabile dell’archivio, lo chiese anche allo stesso Balda, lamentando questo suo modo “inconsueto” di usare l’archivio senza mai segnare la sua presenza sugli appositi fogli. Spesso i due arrivarono ad uno scontro.
E lo stesso Fralleoni – ha detto oggi ai giudici – fu individuato dal gruppo come “un nemico”, perché “avevo una visione differente dei problemi”. La sospensione dal servizio arrivò il 29 ottobre 2015 (quindi pochi giorni prima del doppio arresto in Vaticano), firmata da Balda che tuttavia “non prese la decisione”. La spiegazione ufficiale, ha riferito Fralleoni, era che gli impegni in Vaticano fossero incompatibili con gli incarichi svolti in Italia di presidente del collegio sindacale dell’ospedale Bambino Gesù e membro della fondazione Padre Luigi Maria Monti (Idi). Incarichi di cui mons. Vallejo non si era mai lamentato in precedenza.
Tra le anomalie riportate dall’ex vertice della Prefettura anche quella dell’arrivo con corriere di quattro valigie preziose, nel dicembre del 2014, poi portate via da Nicola Maio, di cui è rimasto tuttora oscuro il contenuto; poi il fatto che Fralleoni, leggendo il libro Via crucis di Gianluigi Nuzzi, fosse rimasto impressionato dal leggere la descrizione così dettagliata di certe situazioni e atmosfere, tanto da pensare di essere stato “filmato oltre che ascoltato”. “Non posso fornire prove certe, ma nella Prefettura sono state ritrovate microspie”, ha detto oggi.
Al presidente Giuseppe Dalla Torre ha poi raccontato di una chiavetta usb che Vallejo un giorno inserì nel suo computer che conteneva tutto il fascicolo sul processo a carico di mons. Nunzio Scarano. Materiale che “non poteva trovarsi in Prefettura, ma apparteneva alla procura della Repubblica italiana” e che Balda mostrò anche al personale tecnico. “Il motivo era dimostrare che aveva capacità di accesso a informazioni riservate di questo tipo” ha spiegato Fralleoni, “non mi ha detto da dove proveniva, quando gliel’ho chiesto mi ha fatto un cenno con la testa. Mi sono fatto l’idea che provenisse da Chaouqui visto che la chiavetta gli era stata data dopo un incontro con lei”.
La prossima udienza si terrà oggi, giovedì 28 aprile, alle 15.30. Il collegio giudicante continuerà ad ascoltare i testimoni “interni” appartenenti alla Prefettura degli Affari economici, richiesti dalla pubblica accusa: Paola Pellegrino, Fabio Schiaffi, Roberto Minotti, Paola Monaco e mons. Alfredo Abbondi. Seguiranno gli interrogatori ai testimoni della Gendarmeria e di altri uffici vaticani, infine i testimoni “esterni” chiesti da diversi imputati e i due cardinali Parolin e Abril y Castillo.
Alcuni ‘siparietti’ hanno animato la lunga udienza di oggi, caratterizzata da un certo disordine e da un brusio generale, provocato soprattutto da Francesca Immacolata Chaouqui che, incinta al nono mese, si alzava continuamente per parlare col suo avvocato Laura Sgrò o per protestare per alcune dichiarazioni. Come per la vicenda delle valigie: “Se vuole una di queste valigie ce l’ho qua, gliela faccio vedere” ha detto ad alta voce al pm Giampiero Milano. Che ha replicato: “Lei vuole fare domande a me? Cerchi di mantenere il suo ruolo sia qui che altrove”. E Dalla Torre, laconico, ha richiamato tutti alla calma ricordando che “non siamo in un processo americano”.
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