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Il grammelot? Nato dalla fantasia di un bimbo

Di Gianni Borsa

Un Premio Nobel può maturare anche fra le stradine ripide di un paesino adagiato sulle sponde del Lago Maggiore. Specie se il ragazzino curioso che scorrazza con una banda di amici si chiama Dario. E il suo cognome è Fo. Dario Fo. L’autore di “Mistero buffo” ha festeggiato il 24 marzo i suoi primi 90 anni. E, proprio per questo, snocciola progetti a non finire, elenca le tappe del suo tour e guarda avanti: perché alla morte, dice, “bisogna cercare di arrivare in surplace, senza che diventi un pensiero fisso, un freno ai programmi che hai, e io ne ho tanti. La morte non deve diventare l’ossessione dei vivi. Io sogno di morire con un programma pieno davanti a me, e dire: peccato! Non ho fatto in tempo a realizzarlo fino in fondo”. Fo si racconta – e un po’ si confessa – a “Scarp de’ tenis”, il mensile di strada promosso dalla Caritas, testata che ha appena compiuto 20 anni, in uscita domenica 1 maggio.

Una lingua inventata. Il futuro drammaturgo confida episodi di un’infanzia felice e creativa. “Sono cresciuto a Porto Valtravaglia, sul lago Maggiore, un posto incantevole, in mezzo alla natura. C’era una vetreria dove veniva lavorato il vetro soffiato. Arrivavano da tutto il mondo i soffiatori di vetro: spiegavano i segreti di forme e tecniche differenti di lavorazione. Insieme alla loro sapienza portavano anche lingue diverse, venivano dal Medio Oriente, dalla Spagna, dal Nord Europa… Io ero un ragazzino e li ascoltavo parlare. A scuola scimmiottavo le lingue che sentivo e cercavo di farmi capire dagli altri compagni”. Quel sorriso e la mimica esagerata che lo contraddistinguono anche oggi facevano colpo sui coetani:“Mi guardavano come un folle. Ma la contaminazione dei suoni conquistò anche gli altri e insieme comunicavamo con le lingue inventate”.Il grammelot “nasce da lì, dalla strada. Perché la strada era il nostro mondo dei giochi, avevamo tantissimo spazio, non come in città. Ricordo che andavamo a giocare sulla riva del lago, o salivamo in montagna, in cerca di caverne. Un mondo straordinario per noi bambini”.

San Francesco… secondo me. Poi l’approdo alla televisione, i testi (e la censura) per Canzonissima, il teatro per i giovani, le battaglie civili, una maniera tutta sua – sempre condivisa con la moglie – di interpretare il presente. “Non potrebbe essere altrimenti. Siamo stati insieme da quando lei aveva 19 anni e io 21.

Tutta una vita… Abbiamo combattuto, gioito e lavorato insieme.

Abbiamo preso anche delle sleppe terribili da parte del potere che combattevamo”. Ma dall’alto dei suoi 90 anni Dario Fo non si ferma al passato e parla di tutto: cultura, politica, la “sua” Milano. Parla dell’uomo e della fede: “Quando penso all’uomo io guardo a san Francesco, ad esempio, che si è battuto tutta la vita contro il potere”. Fo ritiene che i punti fermi della biografia del Poverello di Assisi siano “la difesa dei diritti umani, l’aiuto ai deboli, l’onestà, la purezza”.

L’attore e il Papa. La sua ultima fatica è un libro, “Dario e Dio”. Daniela Palumbo, di “Scarp”, domanda: pensa che questo Papa riuscirà nella sua opera di cambiamento della Chiesa? “Chi può dirlo? Certo, ha cominciato bene – risponde, sornione, l’attore –.Le sue azioni sono di cambiamento e di rinnovamento: mi piace molto, è coraggioso, deciso.E soprattutto, ed è una cosa che pochi notano, è riuscito a relazionarsi con molte persone che lo sostengono e lo proteggono. Non è solo. Spero che riesca ad avere sempre quest’ensemble straordinario che gli dà la possibilità di agire”.

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