La campagna per le elezioni amministrative, che si terranno il 5 giugno, sta entrando nel vivo, anche se in realtà sono mesi che il dibattito pubblico è fortemente segnato da questa scadenza. Un lungo percorso accompagnato dalle notizie arrivate via via da altri Paesi europei impegnati in competizioni elettorali di varia natura, in cui
il tema dell’immigrazione ha giocato un ruolo importante, in alcuni casi determinante,
con esiti preoccupanti per l’affermazione di candidati e forze politiche portatori di posizioni di chiusura radicale, quando non espressamente xenofobe. Ultimo in ordine di tempo, il voto per le presidenziali nella vicinissima Austria.
Ma poiché l’immigrazione è un tema globale per definizione, segnali dello stesso tipo arrivano anche da molto più lontano, per esempio dalle primarie in corso negli Stati Uniti. E proprio negli Usa merita di essere segnalato un caso che è diventato emblematico delle dinamiche psicologiche collettive che si attivano quando ci si confronta con la questione degli immigrati e di come la percezione emotiva dei fenomeni possa diventare preponderante sulla loro effettiva entità. Nel New Hampshire, un piccolo stato in cui si è votato a febbraio e dove tra i repubblicani è prevalso Donald Trump nonostante la tradizione moderata degli elettori locali di quel partito, i sondaggi hanno rivelato che il 64% di essi era favorevole a bloccare l’ingresso negli Stati Uniti di immigrati di fede musulmana e il 41% appoggiava la proposta del rimpatrio forzato degli immigrati. Ora, si dà il caso che il New Hampshire sia a 3000 chilometri dal confine con il Messico, che oltre il 90% della popolazione sia bianca e che la presenza di immigrati nello stato sia statisticamente irrisoria.
Ma tant’è: quando la paura prende il posto di una valutazione razionale dei problemi (non parliamo poi dei più elementari doveri di accoglienza e di solidarietà), questi sono i risultati.
E in Italia? “Non mi pare che i problemi legati all’immigrazione siano il tema cruciale di questa campagna elettorale amministrativa – sostiene Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos e uno dei più autorevoli studiosi dell’opinione pubblica – sono uno dei temi, ma non quello principale. In cima alle preoccupazioni degli elettori c’è il tema economico con tutto ciò che comporta, per esempio in termini di occupazione, e c’è anche la questione del futuro: forse ci si comincia a rendere conto che la crisi impone una visione meno schiacciata sul presente e capace invece di guardare un po’ più lontano”.
Una considerazione di sintesi che ovviamente non nasconde la complessità della situazione e delle variabili in campo. Compresa quella di un uso strumentale delle paure collettive, indotte da una percezione sociale in cui ai problemi reali, di cui bisogna comunque farsi carico senza sottovalutarli, si sovrappone una lettura emotiva che altera radicalmente i criteri di giudizio.
In una pubblicazione dello scorso novembre, proprio Pagnoncelli aveva messo in evidenza la clamorosa sfasatura tra la presenza effettiva degli immigrati in Italia (poco sopra il 7% della popolazione, secondo dati del 2014; oggi la percentuale è intorno all’8%) e la percezione di essa emersa dalle rilevazioni (il 30% e, per quasi un quarto del campione, addirittura la maggioranza della popolazione italiana).
“Da noi – spiega Pagnoncelli – – le rilevazioni sul tema dell’immigrazione registrano da sempre uno strabismo di fondo. Sul piano generale prevalgono le paure e la rinuncia a una valutazione razionale del fenomeno, anche nelle sue implicazioni positive. Quando però si passa al livello locale il discorso cambia in modo significativo perché l’esperienza concreta ci propone la realtà di persone che nel complesso sono integrate, hanno un lavoro, sono meritevoli di fiducia al punto che talvolta affidiamo loro le persone che abbiamo più care, come ha efficacemente ricordato il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno”.
Questo discorso è particolarmente interessante nella prospettiva del voto amministrativo, che coinvolge 1.368 comuni. Nei piccoli centri, infatti, la prossimità con le persone immigrate incide in modo più significativo nelle valutazioni e nei comportamenti conseguenti. Ma il dibattito nazionale è monopolizzato dalla campagna elettorale delle grandi città e in esse, osserva Pagnoncelli, “la preoccupazione per la presenza degli immigrati in termini di sicurezza personale e collettiva si fa sentire di più. E questa percezione può essere utilizzata come arma politica. Ma far leva sulle paure è un espediente di corto respiro, perché poi i problemi vanno affrontati nel merito e nessuno ha la bacchetta magica”.
La situazione, tuttavia, è in movimento e qualcosa forse sta cambiando.
Il 2015 è stato un anno con una densità di eventi eccezionale. Basti citare le dimensioni assunte dai flussi migratori a livello europeo e l’irrompere brutale dell’Isis sulla scena mondiale e continentale. Parallelamente anche l’informazione relativa al tema dell’immigrazione è cresciuta in misura esponenziale.
Il terzo rapporto Carta di Roma calcola un aumento delle notizie sui quotidiani che va dal 70 al 180% e un numero di servizi nei tg di prima serata pari a 3437, il dato più alto degli ultimi undici anni.
Eppure gli studi sull’opinione pubblica nazionale, come pure le stime dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza, non rilevano quell’impennata dei livelli d’insicurezza connessi con la percezione del fenomeno migratorio che si sarebbe potuta prevedere. “E’ un aspetto da valutare ancora con molta prudenza – sottolinea Pagnoncelli – ma abbiamo segnali che ci dicono come la scorsa estate sia stata un momento di passaggio. E’ come se gli italiani, e in questo è stato decisivo il ruolo delle immagini diffuse dai media, avessero per la prima volta scoperto che non ci sono soltanto i migranti economici ma che molte persone, tra cui tanti bambini, fuggono dalla guerra e che il problema non riguarda soltanto il nostro Paese ma ha una dimensione molto più ampia”.
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