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Su la testa, Lodi, tu sei un’altra cosa

Di Ferruccio Pallavera

Le recenti vicende che hanno terremotato il Comune di Lodi sono finite per tre giorni, a caratteri cubitali, sulle prime pagine di tutti i quotidiani d’Italia. E da una settimana i telegiornali nazionali fanno a gara per fornire aggiornamenti quotidiani nei quali il nome di Lodi giganteggia.
La città ne è uscita incredula. Prostrata. Allibita. Frastornata. E soprattutto con un’immagine a pezzi.
Era già capitato un’altra volta. Tutta questa “pubblicità” Lodi l’ha avuta all’epoca dell’arresto di Gianpiero Fiorani, quando crollò un impero che in realtà era un castello di carte, e dietro a quello la città perse per sempre l’autonomia della sua banca, che era la prima Popolare fondata in Italia.
Sia chiaro, non si può paragonare l’arresto del sindaco Uggetti a quello di Fiorani: sono due storie agli antipodi. Ci affidiamo fiduciosi alla magistratura, affinché svolga il suo compito, con celerità e limpidezza. E neppure intendiamo schierarci con una delle fazioni – i giustizialisti e gli innocentisti – in cui si è diviso da martedì il mondo politico della città di Lodi (ci sia permesso però di sottolineare ad alta voce che la legge va sempre applicata, in tutta la sua interezza, e che il fine non giustifica i mezzi. Mai).
Vogliamo ricordare a tutti che Lodi non merita di essere trattata come è accaduto in questi giorni: una città nella quale prospera il malaffare e dove le regole sono applicate a piacimento, come avvenne all’epoca di Fiorani e come sembra essere accaduto con gli appalti di Palazzo Broletto.

È anche la Lodi fatta di piccoli grandi uomini che hanno saputo, remando controcorrente, costruire passo dopo passo l’autonomia del territorio, lavorando sulle solide radici della nostra identità, quella più vera: prima il Consorzio del Lodigiano, poi la Provincia.
È fatta di imprenditori che ogni giorno scrutano le strade del mondo per tenere alto il nome delle proprie aziende, per procurare lavoro ai dipendenti, per rafforzare le proprie imprese, per renderle competitive. Due nomi, per tutti: Zucchetti ed Erbolario.

È la Lodi che sa rialzarsi ogni volta, dopo le sciagure più pesanti.

La Lodi dell’Adda e delle Notti bianche, la Lodi del Festival della fotografia e dei palazzi del rinascimento, della biblioteca dei Padri Filippini e delle bifore medioevali che fanno capolino nel centro storico. La Lodi della piazza del duomo, una delle più belle piazze di Lombardia, che ad ogni stagione riesce a farti trasalire.
Questa è la Lodi che tutti noi portiamo nel cuore. È la Lodi dei venti campanili, dell’Incoronata e del San Francesco. La Lodi di Tiziano Zalli e di Ettore Archinti, la Lodi di don Luigi Savarè e dei vescovi Rota e Benaglio.
Lassèl pasà, chel ven da Lod!, urlavano otto secoli fa i gabellieri dislocati sull’Adda, abbassando le catene tirate nell’acqua da una riva all’altra del fiume, permettendo così il libero transito alle “navi” piene di merci che assicuravano il rifornimento alla città. Lasciatelo passare che viene da Lodi. Era un riconoscimento, un salvacondotto, un modo di intendere la vita di ogni giorno, pur in mezzo a mille difficoltà. E non senza una punta di fierezza. Lassel pasà, chel ven da Lod…
E allora… alla faccia di quanto abbiamo letto in questi giorni sui giornali di mezza Italia, a chi ha dipinto un’intera città, un popolo, come un luogo dove si è soliti infrangere la legge… noi additiamo la città, quella più vera. A quella facciamo riferimento. È quella che chiamiamo a raccolta.
Su la testa, Lodi, tu sei un’altra cosa.

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