La notizia è destinata a far rumore: due gruppi di ricerca in Usa e nel Regno Unito sono riusciti a prolungare artificialmente in laboratorio la “vita” di un embrione fino al limite dei 14 giorni imposto dalle leggi di numerosi Paesi.
In Italia la ricerca sugli embrioni umani è vietata per legge, ma la comunità scientifica internazionale finora ha rispettato un limite convenzionale di 14 giorni
proposto nel 1979 negli Stati Uniti, abbracciato nel 1984 dalla commissione Warnock in Gran Bretagna e poi fatto proprio da altri Paesi oltre che da numerose società scientifiche. La ricerca, d’altra parte, raramente era riuscita a superare il limite tecnico della settimana. L’embrione, dopo quel tempo, aveva comunque bisogno di un ambiente naturale per svilupparsi in modo corretto. I risultati ottenuti dal gruppo di Ali Brivanlou della Rockefeller University e da quello di Magdalena Zernicka-Goetz di Cambridge, ai quali hanno dato grande risalto i media internazionali, “inaugurano dunque un nuovo filone di studi”, dice Anna Meldolesi sul Corriere della Sera, ma aprono anche il fronte di nuove polemiche. Il tema del numero dei giorni consentito per gli esperimenti laboratoriali sugli embrioni somiglia infatti molto ad una questione mal posta.
Secondo Roberto Rossi, docente di filosofia all’Istituto superiore di scienze religiose Ecclesia Mater di Roma, si tratta del risultato di un sistema di pensiero irrazionale. “Se fosse tecnicamente corretta la favola dei 14 giorni – spiega spesso anche ai suoi studenti – significherebbe che prima della scadenza, quel particolare embrione umano potrebbe svilupparsi in una forma diversa: un ornitorinco, un colibrì oppure un dinosauro. Si tratta di un’assurdità, ovviamente. Nessun scienziato al mondo può negare l’evidenza: quell’embrione è, fin dal momento del suo concepimento, un essere umano e non potrà mai essere nulla di diverso. Fare esperimenti in laboratorio su esseri umani viventi è un abominio degno dei peggiori lager nazisti”.
La posizione degli scienziati cattolici è chiara e sembra difficilmente contestabile, come spiega pacatamente il filosofo dell’Ecclesia Mater. Nonostante questo i nuovi risultati ottenuti dagli scienziati non potranno che riaccendere il fuoco di una polemica pretestuosa. Dietro il clamore mediatico che sta agitando la comunità scientifica internazionale, infatti, si cela il desiderio di “prolungare” il termine stabilito dei 14 giorni. “Questo limite è stato scelto più di 20 anni fa di comune accordo dell’intera comunità scientifca – ha detto Daniel Brison,professore di embriologia clinica presso l’Università di Manchester -. Tuttavia, dati i potenziali benefici della nuova ricerca sulla sterilità, sui metodi di concepimento assistito, sulle fenomenologie degli aborti spontanei e, in genere, sui disturbi della gravidanza, si potrà in futuro cominciare a riconsiderare il limite dei 14 giorni”. Più espliciti sono tre ricercatori che hanno scritto sulla rivista Nature: Insoo Hyun della Case Western Reserve University in Ohio, Amy Wilkerson della Rockefeller University di New York, e Josephine Johnston del Centro Hastings a New York City. Nel loro articolo dicono chiaramente che la regola dovrà essere rivista e chiedono un dibattito internazionale che “prenda a bordo i vari punti di vista culturali e religiose locali per modificare la legge o la politica di ricerca”. Più prudente Robin Lovell-Badge, un genetista del Francis Crick Institute di Londra, che non è stato coinvolto nella ricerca. “La regola dei 14 giorni ha funzionato molto bene in questi venti anni”, ha detto e ha aggiunto: “posso certamente vivere con questo limite e ho il sospetto che anche la maggior parte degli scienziati possano farlo”. Parole al vento. La corsa all’ampliamento del limite dei 14 giorni ormai è iniziata.
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