“Non vi lascerò orfani. La missione di Gesù, culminata nel dono dello Spirito Santo, aveva questo scopo essenziale: riallacciare la nostra relazione con il Padre, rovinata dal peccato; toglierci dalla condizione di orfani e restituirci a quella di figli”.
Lo ha detto Papa Francesco, nella Basilica di San Pietro, nel corso dell’omelia per la messa di Pentecoste.
Nella tradizione ebraica la festa di Pentecoste è letteralmente il “cinquantesimo giorno”, dopo la Pasqua. Nell’antico Testamento è più nota come “festa della mietitura e delle primizie” (Es 23,16), “festa delle settimane” (Es 34,22; Dt16,10; 2 Cr 8,13), “giorno delle primizie” (Nm 28,26).
All’interno del gruppo dei discepoli di Gesù Cristo, seguendo quanto narrato in Atti 2,1-11 la Pentecoste è diventata discesa dello Spirito Santo, che viene donata da Dio ai suoi fedeli, e segna la nascita della Chiesa cristiana cominciando dalla comunità di Gerusalemme, o “comunità gerosolimitana” (At2,42-48).
Il Papa ha ricordato le origini della festa citando san Paolo che scrisse ai cristiani di Roma: “Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà! Padre!” (Rm 8,14-15).
Secondo il Pontefice si tratta di una relazione che si è riallacciata tra il Padre e gli umani, attraverso l’opera redentrice di Cristo e al dono dello Spirito Santo.
Papa Francesco ha sostenuto che tutta l’opera della salvezza è un’opera di rigenerazione, nella quale la paternità di Dio, mediante il dono del Figlio e dello Spirito, ci libera dalla condizione di orfani in cui siamo caduti.
Siamo orfani perché, anche nei tempi moderni, soffriamo di una solitudine interiore che “sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale”
Solitudine per “una presunta autonomia da Dio, che si accompagna ad una certa nostalgia della sua vicinanza”
E poi “quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili”.
A tutto questo si oppone la condizione di figli – ha sottolineato il Papa- perché la nostra vocazione originaria, ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo “DNA” è quello di essere figli.
Una figliolanza che è stata rovinata dal peccato e ripristinata dal sacrificio di Gesù, quell’atto di immenso amore che si è diffuso nel mondo come un immensa cascata di grazia.
Per il Pontefice questa è “l’effusione dello Spirito Santo. Chi si immerge con fede in questo mistero di rigenerazione rinasce alla pienezza della vita filiale”.
L’impegno di Gesù a non lasciarci orfani, fa pensare alla presenza materna di Maria nel Cenacolo.
“La Madre di Gesù è in mezzo alla comunità dei discepoli radunata in preghiera – ha ricordato il Vescovo di Roma – è memoria vivente del Figlio e invocazione vivente dello Spirito Santo. E’ la Madre della Chiesa”.
All’intercessione di Maria si è rivolto il Papa per affidare “tutti i cristiani, le famiglie e le comunità che in questo momento hanno più bisogno della forza dello Spirito Paraclito, Difensore e Consolatore, Spirito di verità, di libertà e di pace”.
Papa Francesco ha concluso l’omelia ricordando che la nostra relazione di appartenenza al Signore Gesù, lo Spirito, ci fa entrare in una nuova dinamica di fraternità.
E’ quindi attraverso Gesù, che possiamo relazionarci agli altri in modo nuovo, non più come orfani, ma come figli dello stesso Padre buono e misericordioso. “E questo cambia tutto!”
“Possiamo guardarci come fratelli, e le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità”.
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