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Mantenere in pista il progetto europeo

Patrick Daly

Fin dall’inizio la Chiesa cattolica ha avuto un atteggiamento favorevole nei confronti del progetto europeo. Pio XII diede ai “padri fondatori” la sua discreta benedizione, benché ci fosse una reticenza a esprimere un pubblico sostegno eccessivo da parte della Chiesa, per paura di compromettere un’iniziativa politica che mirava a coinvolgere tutti gli europei e, soprattutto, a non escludere nessuno.

Così nel 1980 nacque la Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea), che attualmente conta un delegato per ciascuna delle Conferenze episcopali dei Paesi membri dell’Unione europea.

La Comece segue gli sviluppi politici, sociali ed economici all’interno dell’Unione, esprime in modo articolato le preoccupazioni della Chiesa rispetto alle questioni del giorno e, attraverso il lavoro del segretariato con sede a Bruxelles, porta avanti un intenso dialogo “regolare, aperto e trasparente” con le istituzioni Ue. Ho avuto il privilegio di ricoprire il ruolo di segretario generale della Comece dall’autunno del 2012. Ho lasciato il mio posto nella festività di Pentecoste, il 15 maggio.

Cambiamenti significativi. Non soltanto sento, adesso, di conoscere molto meglio l’Ue e il suo funzionamento, ma ho avuto l’opportunità di osservare le istituzioni comunitarie e seguire la loro politica da un punto di osservazione molto ravvicinato e anche privilegiato. Questi anni sono stati non soltanto turbolenti dal punto di vista politico, all’interno dell’Unione e al di là dei suoi confini, ma sono stati caratterizzati da cambiamenti significativi nel modo in cui l’Ue conduce la sua politica e nelle priorità che la sua leadership si è prefissata. Ciò che è più significativo però è che, nella persona di Papa Francesco,

la Chiesa cattolica ha un leader che non solo vede l’Europa attraverso una lente diversa, ma la sua visione di dove dovremmo collocarci in relazione al resto del mondo è radicalmente nuova.

La lettera enciclica “Laudato si’”  ha aperto nuovi spazi.

Cosa significa essere europei. In passato ho svolto il ministero di parroco nel Regno Unito per ventidue anni. Il dibattito sull’Europa si è acceso lì solo ora, quando mancano poche settimane al referendum “dentro o fuori” l’Ue. I cattolici rappresentano il 10% della popolazione britannica e, anche se alcune delle voci critiche pubbliche più forti nei confronti dell’Ue, nel mondo del giornalismo e della politica, sono cattoliche, mi ha sempre colpito il fatto che i cattolici si sentono orgogliosi di schierarsi a favore dell’Europa. I cattolici hanno un’esperienza unica di ciò che significa essere europei. I cattolici si ritrovano insieme ai loro correligionari provenienti da tutta Europa, a Lourdes o in piazza San Pietro all’Angelus domenicale, e sono consapevoli che quella “unità nella diversità” che caratterizza l’Ue è molto vicina all’identità cattolica. Questa esperienza di auto-consapevolezza, ingrediente essenziale dell’identità europea, è un’esperienza che chi ha le proprie radici nella tradizione riformata semplicemente non può avere.

La terza generazione. Non si può negare che l’Unione europea sia in crisi. I problemi si accumulano, la leadership politica sembra incapace di fornire soluzioni praticabili e credibili. A mio modesto parere, avendo avuto l’opportunità di osservare l’Ue da bordo campo per oltre quarant’anni, le istituzioni dell’Ue stanno rendendo le cose più difficili di quello che sono mentre negoziano la transizione generazionale. Chi è al timone del progetto comunitario appartiene alla terza generazione. La metodologia collaudata e sviluppata dai primi eurocrati e trasmessa da loro alla seconda generazione sta ora compiendo il terzo giro! Ebbene, la maggior parte degli ordini religiosi nella storia della Chiesa cattolica, sia maschili che femminili, sono scomparsi, sono stati dissolti o trasformati in qualcos’altro nella loro terza generazione. Monasteri, comunità contemplative, frati mendicanti, congregazioni missionarie, tutti hanno incontrato grossi problemi nella terza generazione, solo i più coraggiosi sono sopravvissuti. La stessa crisi di transizione ha colpito il progetto Ue a settant’anni dai suoi inizi.

Ue e coscienza cristiana. Possiamo imparare alcune lezioni dallo studio della storia della vita religiosa nella Chiesa, soprattutto dalle strategie di rinnovamento adottate da quei pochi ordini, per esempio i gesuiti e i domenicani, che sono sopravvissuti. Lascio questo compito agli storici, ma

c’è una lezione che la storia ci insegna: quando un’istituzione, sia essa un’abbazia, un ordine religioso, un’agenzia della Commissione europea o la Commissione stessa, diventa al servizio di se stessa, entra in crisi.

La mia speranza per l’Ue, guardando al futuro, è che la voce della Chiesa – incoraggiante, moderata, sfumata ma profondamente radicata nella sua esperienza pastorale – contribuisca al dibattito sull’Europa e sulle scelte politiche dell’Ue. Mi auguro che la Comece possa continuare a iniettare idee nuove e stimolanti nel dibattito sull’Europa e riesca a convincere tutti coloro che appartengono alla Chiesa che l’impegno nei confronti del progetto europeo è una questione di coscienza cristiana.

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