“Vogliamo far conoscere al mondo la situazione del nostro popolo e il dramma dei nostri bambini che continuano a morire di fame”. Dall’altra parte dell’oceano, collegata via skype da Bogotá, capitale della Colombia, c’è una coraggiosa leader indigena, Remedios Uriana, portavoce del movimento Mantas Negras, assistente sociale, abituata a lottare fin da piccola per i diritti suoi e per quelli della sua martoriata etnia, i wayúu che vivono nel dipartimento settentrionale de La Guajira. Senza rabbia, ma con determinazione, racconta le vicende del suo popolo e snocciola numeri impressionanti: 4.151 bambini morti tra il 2008 e il 2013, 278 per denutrizione, 2.671 per malattie contratte nei primi giorni e mesi di vita, 1.202 che non sono neppure arrivati alla nascita. I numeri sono quelli ufficiali, forniti dal Dane, il Dipartimento amministrativo nazionale di statistica, in pratica l’Istat colombiano. “Ma tanti neonati non sono registrati – ci dice -, i morti sono molti di più”. Secondo le stime degli attivisti, 37mila bambini indigeni soffrono di denutrizione in La Guajira, i morti di inedia sono stati 5mila e le vittime totali per problemi riconducibili alla denutrizione sono state 14mila.
Pronunciamento internazionale. Da anni non mancano tentativi di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione di questa popolazione, ma negli ultimi mesi l’azione degli indigeni si è fatta più forte. Lo scorso 17 dicembre, la Commissione interamericana dei Diritti umani ha emesso una sentenza nella quale intimava al governo colombiano di prendere misure urgenti per proteggere i bambini indigeni. In questi mesi il Governo ha avviato un programma di recupero nutrizionale per migliaia di minori, avvalendosi soprattutto dell’opera dell’Istituto colombiano de Bienestar familiar (Icbf), l’ente governativo che si occupa di famiglia e minori, che ha aperto numerosi centri per questo scopo. La direttrice generale dell’Icbf, Cristina Plazas Michelsen, è stata più volte personalmente in La Guajira. Uno sforzo non ancora sufficiente. Secondo Remedios Uriana, però, il metodo va cambiato: “Lo Stato colombiano sta facendo assistenzialismo. Noi chiediamo politiche concrete e di lungo periodo e scelte ottenute con il dialogo, la soluzione sta nel confronto”.
Mantelli neri e simboliche bare nel cuore di Bogotá. Così, Remedios, assieme ad altri leader indigeni, ha creato il movimento Mantas Negras. Numerosi indigeni, mercoledì 11 maggio hanno deposto le coloratissimemochilas, gli zainetti tipici del loro artigianato, in vendita nelle tanteartesanias della capitale colombiana, per indossare i mantelli neri (mantas negras, appunto), ed hanno manifestato per un’intera giornata in plaza de Bolivar, l’enorme piazza al centro di Bogotá, riempita di piccole simboliche bare. Più che una protesta, un momento di lutto collettivo, che ha mobilitato non solo le comunità indigene, ma anche pezzi di società civile e di mondo culturale ed artistico. “La solidarietà verso il nostro popolo si può manifestare in tante forme – ci spiega la leader indigena -. Noi abbiamo voluto coinvolgere anche artisti, cantanti, che ci hanno dato il loro contributo”. Mantas Negras è presente su Facebook, Twitter, ha un proprio canale YouTube.
L’acqua “rubata”. Com’è possibile che per l’etnia wayúu si sia arrivati a questa situazione? In Colombia le popolazioni indigene sono numerose, circa un’ottantina. Quasi sempre discriminate, ai margini della società. Ma la storia dei wayúu è, comunque singolare, al di là del fatto che si tratta del popolo indigeno più numeroso del Paese: 270mila persone circa, cui vanno aggiunte le 400mila che vivono nel vicino Venezuela. La geografia ha un posto di primo piano tra le cause della storica povertà. Nel Paese che ospita tutti i climi del mondo, al popolo wayúu è toccato il deserto. L’unica “fettina” di deserto della Colombia, incuneata tra il Mare dei Caraibi e il Venezuela, isolata dal resto del Paese dai 5.700 metri del pico Cristóbal Colón. Poi l’uomo ha fatto la sua parte. Ad esempio “rubando” l’acqua del fiume che percorre La Guajira, il rio Ranchería, deviandola per servire una grande miniera di carbone. In questi mesi, tra le proteste dei wayúu, si sta discutendo della deviazione di un altro corso d’acqua affluente del rio Ranchería, l’Arroyo Bruno. Sotto il suo letto c’è un giacimento di carbone da sfruttare.
Il cancro della corruzione denunciato dal vescovo. “La nostra lotta in realtà – spiega Remedios Uriana – riguarda vari corsi d’acqua. Ma i nostri problemi sono anche la corruzione e la mancanza di politica. Noi chiediamo un impegno integrale, una politica che venga costruita con la nostra comunità… Se ci sarà questo, ci sarà anche l’acqua. Basterebbe costruire dei pozzi, visto che l’acqua si trova a 40 metri di profondità”. Forti accuse alla politica sono venute, nei mesi scorsi, anche dal vescovo di Riohacha, monsignor Héctor Ignacio Salah Zuleta. Nel corso di un’omelia aveva sottolineato che prima della siccità e del crimine organizzato, è la corruzione ad uccidere i bambini: “La corruzione è la principale piaga di cui soffre La Guajira”. Nella regione la Chiesa cattolica segue circa 40mila bambini nelle sue scuole.
Un invito a papa Francesco. Remedios Uriana chiude la conversazione ricordando che la priorità del suo impegno restano i bambini: “Senza di loro non c’è futuro per il nostro popolo”. E confida una sua speranza: che Francesco, il Papa delle periferie, incontri il popolo wayúu durante il viaggio che probabilmente farà in Colombia nel 2017. “Sarebbe una cosa grande se venisse in La Guajira, o anche se solo incontrasse una rappresentanza della nostra etnia che vive a Bogotà, in una rancheria nei pressi dell’aeroporto. Ci sentiremmo meno soli”.