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Sarajevo: 23 anni fa la morte di Admira e Boško, “nessuno si amerà mai così finché c’è acqua che scorre nella Miljacka”

Di Daniele Rocchi

Admira Ismic era una ragazza musulmana di 25 anni. Boško Brkic era il suo fidanzato serbo ortodosso. Il loro amore era nato otto anni prima, sbocciato, come spesso accade a 17 anni, quasi per caso, tra le strade e i bar di Sarajevo, allora immersa nel verde e pacifica, come il fiume che l’attraversa, Miljacka. Admira e Bosko. Musulmana lei, cristiano lui. Nessun pregiudizio, come amore pretende. Si amavano senza condizionamenti. Il loro amore aveva resistito all’odio etnico che aveva lacerato Sarajevo, assediata e divenuta nel frattempo una macelleria. Dai monti circostanti sparavano sulla città. Erano uomini di quella terra, serbi come Boško che però aveva deciso di restare con Admira. Uomini che non lo rappresentavano. Forte il richiamo di quell’amore che i due avevano pensato “per sempre”.

Già grandi nella loro giovane età, volevano amarsi cercando un futuro che una Sarajevo sfregiata dall’odio, dalla violenza e dalle bombe, non poteva dare loro. Nulla li avrebbe divisi. Nemmeno la morte.

Admira e Boško avevano deciso di fuggire da Sarajevo. Era il 19 maggio del 1993, durante la fuga sul ponte Vrbanja, che collega il quartiere Grbavica con quello di Marin Dvor, furono uccisi da un cecchino. Boško fu il primo a cadere. Poi Admira, che ferita ebbe la forza di trascinarsi verso l’amato e di abbracciarlo stretto. Per poi morire. I loro corpi stretti l’uno all’altro in una morsa d’amore, come a proteggersi. Le loro speranze e i loro sogni si sono fermati sopra quel ponte. Il tempo di sparare 25 colpi. I loro corpi rimasero lì per otto lunghi giorni. Esposti, come un monito, agli occhi di tutti. Troppo pericoloso avvicinarsi ai due giovani a terra. Solo un cessate-il-fuoco tra le parti in lotta consentì di recuperare i corpi e di dare loro una prima veloce sepoltura. Admira e Boško dovettero aspettare ancora tre anni per avere una tomba degna. Oggi riposano nel Lion Cemetery a Sarajevo – i loro volti sorridenti sono incastonati in un grande cuore di granito – su quelle stesse colline dalle quali partirono i proiettili che misero fine alla loro vita piena di sogni. La loro storia è stata raccontata da video, canzoni, poesie…

Qualcuno ha scritto: “non appartenevano alla stessa tribù e non avevano lo stesso Dio, ma l’un aveva l’altra, e il sogno di fuggire. Quale Giulietta, quale Romeo, nessuno si amava così e nessuno si amerà mai, finché c’è acqua che scorre nella Miljacka”.

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