Dopo venti secoli di evangelizzazione, viviamo ancora l’aurora della Chiesa. Era la convinzione del cardinale Loris Francesco Capovilla, che si è spento oggi a Bergamo. Una data che non può essere casuale, quella della solennità liturgica del Corpus Domini, per un uomo che ha trascorso i cento anni della sua vita dividendosi tra l’altare e la gente. Testimone eccezionale di una stagione che ha cambiato il volto della Chiesa, don Loris si era ritirato ormai da tempo a Sotto il Monte Giovanni XXIII, nel paese natale dell’amato Papa Roncalli di cui conservava intatta la memoria.
Non era un prete da copertina e non amava le luci della ribalta. Quando Francesco ne annuncia la creazione a cardinale, nel gennaio 2014, le condizioni precarie di salute gli impediscono di essere presente al concistoro e il Papa affida al cardinale Angelo Sodano, decano del Sacro Collegio, il compito di imporgli la berretta a Sotto il Monte. Per lui, però, nulla cambiava: “Ogni giorno mi domando:
Dall’esperienza del Concilio Vaticano II e del papato di Giovanni XXIII, Capovilla aveva tratto due insegnamenti: la mitezza e l’umiltà del cuore. Raccontava che il giorno dell’elezione Angelo Roncalli, affacciandosi al balcone di San Pietro per benedire la folla, sentì le grida di gioia provenire dalla piazza ma non vide niente, perché accecato dai fari di cineoperatori e fotografi. Rientrando dal balcone, dietro al crocifero, confidò di aver guardato il Crocifisso con la sensazione che Gesù gli dicesse: “Angelino hai cambiato nome, ora ti chiami Giovanni, e hai cambiato anche il vestito. Ricordati che se non rimarrai mite e umile di cuore come me, sarai sempre cieco. Nulla vedrai della storia del mondo e della Chiesa e nulla potrai dire ai fedeli”. Fino all’ultimo, don Loris è rimasto fedele alla lezione. Lui, humilis episcopus Ecclesiae Dei, che viveva ancora alla prima ora del giorno. Tantum aurora est.
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