Non è più solo una questione di antropologia o di etica. Ora, anche la scienza medica conferma che l’essere umano non è fatto per vivere da solo.La solitudine e l’isolamento sociale non solo sono fonte di disagio psicologico ed interiore per l’individuo, ma addirittura possono risultare nocive per la sua salute fisica.No, non è un’esagerazione, né un’immagine iperbolica. E’ piuttosto il risultato di una recente ricerca (pubblicata sulla rivista “Heart”) condotta da Nicole Valtorta, dell’Università di York, in Gran Bretagna. In base all’analisi dei dati raccolti da oltre 181mila individui esaminati, infatti, risulta che nelle persone che soffrono di solitudine, o vivono in contesti di marcato isolamento sociale, si registra un aumento del 30% – rispetto a coetanei che non vivono tali condizioni – del rischio di ictus, infarto, angina, (che guarda caso, sono anche le principali cause di morte nei paesi ricchi). In altri termini, l’effetto negativo della solitudine, che questo studio ha voluto esaminare, è sovrapponibile a quello provocato da ansia e professioni stressanti. In verità, già in passato altre ricerche avevano associato – in maniera indiretta – solitudine ed isolamento sociale ad un maggior rischio di morte prematura, a compromissione del sistema immunitario, a pressione alta. Ora, invece, i risultati di questo ultimo studio pongono l’accento sulla connessione della solitudine sofferta col rischio di ictus e di malattie cardiache.Insomma, vivere senza riuscire a sperimentare relazioni interpersonali autentiche e soddisfacenti non è certo un toccasana. Oltre che provocare conseguenti aggravi sulla già provata spesa sanitaria e sul welfare degli Stati.Un problema emergente, dunque, che spaventa e preoccupa ancor di più in prospettiva: le proiezioni future del trend sociale, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti (cioè, ancora una volta, il mondo ricco e sviluppato), indicano infatti un significativo aumento dei livelli d’isolamento sociale e solitudine. Eccoci, dunque, di fronte ad un altro “frutto avvelenato” della nostra società malata. Malata, perché spinge ciascuno di noi a rinchiudersi sempre più nei meandri dell’individualismo esasperato e sterile, dove sembra non esserci più spazio per l’accoglienza, la condivisione e la solidarietà; malata, perché promuove e diffonde modelli relazionali “fittizi” e “virtuali”, surrogati del vero incontro interpersonale, che non rispondono ai bisogni più profondi del nostro cuore; malata, perché fa sempre più fatica a riconoscere ed integrare chi non ce la fa con le proprie forze, spesso abbandonandolo alla propria insufficienza.
Una società malata “dentro”, che purtroppo – ora ce lo assicura anche la scienza – diventa di conseguenza più malata anche nel corpo.
E allora? Dobbiamo rassegnarci a tutto questo? O dobbiamo piuttosto unire gli sforzi per ritrovare, a tutti i livelli, la strada per tutti noi più…”naturale”?
“In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro compito è quello di costruire comunità”, scriveva qualche giorno fa in un suo tweet Papa Francesco.
Una ricetta davvero salutare: ricostruire comunità. Ricostruire il genuino incontro tra persona e persona, perché nessuno sia più solo. A patto che, dalla necessaria esortazione, si passi all’impegno fattivo. Ognuno di noi, nel suo piccolo o grande mondo personale, infatti, può e deve impegnarsi concretamente a ridisegnare, ogni giorno, una tessera di quel mosaico che è la comunità sociale. Tornare a dare precedenza nel quotidiano alla sapiente cura della propria dimensione relazionale, ai rapporti interpersonali, all’incontro con l’altro, che – se vissuto autenticamente – è occasione, di conoscenza, di scambio, di crescita, di autorealizzazione, ed insieme di edificazione del bene comune. E’ questa la nostra natura più profonda ed autentica. E, per i credenti, è anche la dimensione umana che, più di altre, rivela l’essere creati “ad immagine e somiglianza” di Dio. E poi – non dobbiamo dimenticarlo – …fa anche bene alla salute!